La proposta di modifica della Convenzione di Basilea, avanzata da Danimarca, Francia e Svezia, mira a ridurre l’export illegale di rifiuti tessili. Secondo le imprese della filiera sarebbe la fine dell’economia circolare del settore
Sappiamo che l’export di rifiuti (rigidamente regolamentato e oneroso, perché i rifiuti vanno smaltiti) viene spesso nascosto dietro la facciata del commercio di beni usati (meno regolamentato e profittevole). Un fenomeno truffaldino e dannoso dal punto di vista ambientale, perché i finti beni usati, leggi gli scarti, vengono smaltiti poi illegalmente. Un fenomeno che avviene per tutti i rifiuti, dai pc obsoleti alle automobili fuori uso agli abiti da buttare. Proprio i rifiuti tessili dell’occidente ricco hanno di recente destato scalpore quando sono stati rinvenuti in discariche illegali in paesi africani, asiatici o sudamericani (basti ricordare le migliaia di tonnellate di jeans, magliette, scarpe del fast fashion sversate nel deserto di Atacama, nel nord del Cile). Insomma un problema esiste, e qualcuno ha provato a proporre una soluzione: usare per questi rifiuti le norme più stringenti offerte della Convenzione di Basilea, che regola i movimenti transfrontalieri di rifiuti pericolosi.
L’impronta ambientale dei prodotti tessili
Quella tessile è una delle filiere produttive più impattanti dal punto di vista ambientale, tra consumi energetici e di acqua, produzione di fibre sintetiche da fonti fossili, impiego di prodotti chimici pericolosi, beni utilizzati sempre meno che diventano rifiuti nell’arco di poche settimane.
“I prodotti tessili sono in media la quarta fonte di pressione sull’ambiente e sui cambiamenti climatici dal punto di vista dei consumi in Europa”, afferma l’Agenzia europea per l’ambiente (AEA). E lo sono ancor di più quando vengono smaltiti illegalmente, inquinando i suoli, le falde, l’aria. “L’Europa si trova ad affrontare grandi sfide nella gestione dei prodotti tessili usati, compresi i rifiuti tessili. Poiché le capacità di riutilizzo e di riciclaggio in Europa sono limitate, gran parte dei prodotti tessili usati raccolti nell’Ue viene commercializzata ed esportata in Africa e in Asia, e il loro destino è altamente incerto”, come dimostrano appunto le discarica di Atacama o quelle in Ghana.
Secondo dati forniti sempre dall’AEA, solo nel 2019 (ultimi dati disponibili), 1,7 milioni di tonnellate di prodotti tessili (sia rifiuti che beni riutilizzabili) sono stati esportati al di fuori dell’UE, principalmente in paesi dell’Africa e dell’Asia “che – sottolinea l’Agenzia – non hanno la capacità di garantire una corretta gestione dei rifiuti. I rifiuti tessili gestiti in modo scorretto finiscono spesso in discarica o in natura, dove causano danni all’uomo, agli animali e all’ambiente”.
La proposta: regole più stringenti per i rifiuti tessili nella Convenzione di Basilea
Per provare ad affrontare questo problema, i governi di Danimarca, Francia e Svezia hanno presentato al Consiglio Ambiente di fine marzo una richiesta il cui obiettivo è serrare i ranghi contro l’export di rifiuti tessili. In un documento congiunto, infatti, hanno esortato la Commissione a fare tutti i passi necessari (presentare un progetto di decisione del Consiglio su una proposta comune dell’UE) per l’assoggettamento dei rifiuti tessili ai meccanismi di controllo della Convenzione di Basilea. E l’invito è farlo in vista della 17a riunione della Conferenza delle Parti nella primavera del 2025
È vero, sono in corso iniziative a livello europeo per affrontare il crescente problema dei rifiuti tessili, scrivono i firmatari: dalla proposta di revisione della Direttiva quadro sui rifiuti alla revisione recentemente approvata del Regolamento sulle spedizioni dei rifiuti. Novità importanti che, ad esempio, se in vigore consentirebbero di distinguere più chiaramente tra rifiuti tessili e prodotti tessili usati. Novità che però, secondo Danimarca, Francia e Svezia, non sono sufficienti. Infatti, anche con queste norme in vigore, “i rifiuti tessili potrebbero ancora essere esportati liberamente ai sensi della Convenzione di Basilea”, l’accordo sul controllo dei movimenti transfrontalieri di rifiuti pericolosi e del loro smaltimento.
Le richieste di Danimarca, Francia e Svezia per la Convenzione di Basilea
Per questo i tre paesi chiedono “di ‘chiudere il cerchio’ e garantire una regolamentazione più armoniosa a livello europeo e mondiale”. Il modello da seguire dovrebbe essere quello usato sempre nell’ambito della Convenzione per i rifiuti elettronici. Si dovrebbe vietare del tutto l’esportazione di rifiuti tessili pericolosi (ad esempio macchiati con sostanze chimiche o vernici). E chi spedisce dovrebbe richiedere il consenso preventivo per l’importazione e l’esportazione di rifiuti tessili. Questo approccio, sostengono i firmatari della richiesta, “potrebbe apportare notevoli benefici ambientali e sanitari nei Paesi in via di sviluppo e costituire un modo per l’UE di dimostrare leadership e responsabilità a livello globale”.
Affinché l’UE proponga formalmente un emendamento alla Convenzione di Basilea, la Commissione deve proporre un progetto di decisione del Consiglio che lo autorizzi. La prossima riunione della Conferenza delle Parti della Convenzione di Basilea, come accennato, si terrà nella primavera del 2025 e la proposta dovrà essere presentata dalla Commissione con largo anticipo.
La reazione delle imprese
Questa ipotesi ha messo in allarme le imprese dell’usato e del riciclo. Secondo EuRIC Textiles, branca dedicata al riuso e riciclo tessile della Confederazione Europea delle Industrie di Riciclo, “l’assoggettamento di tutti i rifiuti tessili (rifiuti di abbigliamento e di prodotti tessili domestici) ai meccanismi di controllo della Convenzione di Basilea, e in particolare l’obbligo di notifica e autorizzazione preventiva per iscritto per le spedizioni di rifiuti tessili non pericolosi, metterà fine a tutti gli sforzi, in termini di economia circolare, del circolo virtuoso del tessile e si rischierà che i prodotti tessili riutilizzabili e riciclabili vengano invece inceneriti o messi in discarica”.
Poiché non tutti gli Stati membri dell’Unione Europea sono in grado di selezionare o riciclare i propri rifiuti tessili, spiega l’associazione, il trasporto di tali rifiuti anche fuori dai confini nazionali è fondamentale. Sottoporre queste spedizioni a una procedura di notifica “non solo impone un notevole onere amministrativo, ma ostacola potenzialmente anche la futura scalabilità e l’innovazione. Le aziende di selezione e riciclo dei rifiuti di abbigliamento e di prodotti tessili domestici in Europa sono già in difficoltà oggi, e l’aggiunta di una ulteriore procedura di notifica non farà altro che aggravarla”.
Inoltre, sostiene EuRIC Textiles, la scelta non risolverebbe il problema delle spedizioni in cui i rifiuti vengono camuffati da abiti usati e spediti illegalmente. Per farlo, invece, sarebbe “estremamente importante disporre di un processo di selezione dettagliato prima di qualsiasi invio al di fuori dell’Europa. EuRIC Textiles sostiene fortemente la definizione di criteri di selezione che assicurino l’invio, al di fuori del regime dei rifiuti, solo degli articoli che possono essere effettivamente riutilizzati e che corrispondono ai requisiti della destinazione finale”.