Viviamo in un’epoca nella quale l’allevamento intensivo spadroneggia. Dato l’altissimo numero di abitanti sul pianeta, la necessità di nutrirli tutti e la richiesta sempre maggiore di carne per uso alimentare, l’esigenza di massimizzare il numero di capi da macellare ha portato al successo di un metodo dedicato a farlo quanto più velocemente possibile. Eppure, chiunque voglia offrire un prodotto più sano sta rivalutando un metodo di produzione più naturale e affine a quanto l’uomo abbia fatto fin dal Neolitico: l’allevamento estensivo.
Si tratta di un modello alternativo, non improntato alla quantità del processo industriale bensì alla qualità del nutrimento offerto. Chi sceglie l’allevamento estensivo decide di ridurre il proprio impatto ambientale e prediligere l’armonia con la natura. Per farlo, sfrutta in modo efficiente – e intelligente – le risorse del territorio sul quale alleva.
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L’allevamento estensivo del bestiame
“L’allevamento estensivo avviene principalmente attraverso il pascolo, effettuato da razze autoctone adattate al territorio in cui viene praticato. Queste non vengono selezionate per produrre appositamente latte o carne. Al contrario, la loro selezione è naturale e, in molti casi, possono vivere all’aperto senza soffrire di malattie, come gli animali selvatici.”
Ecco la definizione di allevamento estensivo. Questa particolare tipologia di crescita del bestiame utilizza ambienti naturali, come praterie o versanti montani, per la nutrizione. In tal maniera si modifica la natura ma non la si mette mai in pericolo. Gli animali vengono infatti inseriti in un ecosistema di cui diventano parte integrante e, spesso, fondamentale. L’approccio è molto differente rispetto a quello di uno stabilimento intensivo. Esso si basa su un impianto-stalla edificato sul terreno, riempito con un numero insalubre, troppo elevato, di capi di bestiame messi all’ingrasso finché non giunga l’ora della macellazione.
Essendo quella estensiva una forma di allevamento risalente a millenni fa, sono ormai stati creati scenari favorevoli a questo tipo di pratica. Di questi, i bovini sono parte integrante. Chiaro esempio è la dehesa, l’ecosistema derivante dal tipico bosco mediterraneo ma popolato anche da lecci, sugheri, faggi e pini. Al di sotto di questi alberi è collocato un rigoglioso manto erboso, perfetto per il pascolo.
L’impatto su salute, benessere e sistema immunitario degli animali è positivo, sotto la cupola dell’allevamento estensivo. Tanto dal punto di vista fisico quanto da quello patologico, gli esemplari godono di un’esistenza che si può definire degna, all’aria aperta e nella quale hanno facoltà di muoversi liberamente. Nessuno di questi tre aspetti si addice all’opposta esperienza intensiva. In quell’ambiente, infatti, gli animali vivono in batteria, all’interno di capannoni dove aria o sole sono molto spesso insufficienti. Il loro nutrimento consiste in mangimi industriali i quali non hanno che uno scopo: imbottirli di nutrienti prima che li si prelevi per condurli al macello.
I vantaggi dell’allevamento estensivo
In Italia, sono diffuse entrambe le forme di allevamento. Spesso coesistono e coabitano. Non è raro che lo stesso capo di bestiame le sperimenti entrambe, nel corso della sua vita. Tendenzialmente, per i primi dieci o dodici mesi di vita l’animale resta libero al pascolo. Poi lo si sposta al chiuso, per potenziarne la crescita e monitorarlo al meglio.
La produzione italiana da allevamento estensivo raggiunge il 30%. La domanda di prodotti di questo tipo è più alta, tanto che i dettaglianti del nostro paese spesso compensano importando dall’estero. Ciò si deve ai tre principali vantaggi dell’allevamento estensivo:
- Il rispetto per il mondo animale. Il primo vantaggio da considerare è di tipo psicologico. La nostra società è sempre più attenta ai diritti degli animali. In quest’ottica, si è diffusa una riflessione sull’importanza di garantire al bestiame da macello una vita degna di questo nome, prima che finisca in padella. La maggior parte della popolazione è ormai sensibile a questa tematica, nonostante animalisti e vegani ritengano questo aspetto una incoerenza palese. Alla fine, infatti, il destino dell’animale sarà comunque quello di essere mangiato. L’allevamento estensivo garantisce maggior benessere e mantiene in pace la nostra coscienza.
- Affidabilità del prodotto. In relazione a quanto appena evidenziato, il consumatore è inevitabilmente più attratto da carne, latte e uova prodotte da animali che hanno vissuto in un ambiente naturale, curati e tutelati dall’allevatore. Un maggior benessere dell’esemplare si traduce in una maggiore affidabilità dei suoi derivati sugli scaffali degli alimentari.
- Qualità dell’alimento. Il bestiame cresciuto al pascolo si sviluppa più lentamente e non raggiunge le dimensioni di quello tenuto in cattività. La carne allevata in questo modo resterà più tenera al palato, sarà ben irrorata di sangue e presenterà una percentuale più elevata di grassi non saturi.
Quanto è diffuso questo tipo di allevamento?
Lungo la penisola, l’allevamento estensivo non è eccessivamente diffuso. Le motivazioni sono geografiche e morfologiche. Come sappiamo, l’Italia non è così ricca di appezzamenti terrieri che possano essere adibiti a pascolo. C’è poi la questione climatica. Al centro-sud fa troppo caldo, per troppo tempo, e la disponibilità di prati rigogliosi è piuttosto limitata.
Se a queste difficoltà aggiungiamo quelle di tipo economico e consideriamo che il mantenimento di un pascolo di dimensioni considerevoli abbia costi ben più alti rispetto a quelli di un capannone intensivo, e non possa garantire all’animale le stesse protezioni dai predatori di un robusto muro di cemento, non fatichiamo a comprendere come mai molti allevatori considerino ancora i rischi troppo elevati.
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