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Allarme sulle bonifiche a rilento dei Siti di interesse nazionale

Allarme sulle bonifiche a rilento dei Siti di interesse nazionale
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La magistratura contabile, nella sua prima istruttoria del genere, sottolinea i gravi ritardi e le numerose criticità che stanno accompagnando le procedure per le bonifiche delle aree più inquinate del nostro paese, chiedendo un cambio di passo urgente nell’interesse delle comunità colpite

Ha girato la lama nella ferita delle bonifiche, l‘ultimo rapporto della Corte dei Conti sul “Fondo per la bonifica e la messa in sicurezza dei Siti di interesse nazionale (SIN)”, di fatto la prima indagine nazionale del genere. Le bonifiche procedono troppo lentamente per far fronte un problema di vasta portata, che richiederebbe invece “un’azione congiunta sia a livello nazionale che regionale, con interventi urgenti di messa in sicurezza e bonifica da effettuare con investimenti adeguati, una migliore collaborazione tra enti e una solida gestione dei dati, considerati i gravi rischi sanitari, ecologici e socio-economici connessi”. Insomma, non siamo nemmeno a metà del guado.

L’intervento dei giudici contabili affonda le radici nella scelta adottata nel 2021 dall’allora Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare (oggi Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica – MASE) di finanziare le bonifiche dei SIN con specifici capitoli di spesa. E per capire come sta andando, o meglio perché si sta andando così a rilento, s’è mossa la Sezione centrale di controllo sulla gestione delle amministrazioni dello Stato della Corte dei Conti.

L’istruttoria della Corte dei Conti

Entrando nel merito degli interventi governativi che hanno classificato i vari siti come di interesse nazionale di bonifica, questi fino al 2013 erano progressivamente arrivati a quota 57, successivamente scesi a 39 in virtù di un intervento governativo ad hoc (D.M. dell’11 gennaio 2013), che ha deciso che per 18 di essi l’interesse sarebbe diventato regionale, per arrivare agli attuali 42 (con l’aggiunta nel 2017 dell’area Officina Grande Riparazione ETR di Bologna e dell’Area vasta di Giugliano in provincia di Napoli nel 2020).

Il quadro complessivo che emerge da questa prima ricognizione – molto dettagliato, ripercorrendo analiticamente la selva di provvedimenti e relativi iter amministrativi di tutti i SIN coinvolti –, è comunque poco rassicurante, considerato che le attività di bonifica e di rimozione degli inquinanti procedono a passo di lumaca. Complessivamente, scrivono, i “siti interessati da procedimenti di bonifica a livello nazionale sono circa 35mila, di questi circa 16mila sono tuttora attivi. Tuttavia, più della metà dei procedimenti attivi (56%) si trova nella prima fase, quella relativa alla attivazione del procedimento; si tratta principalmente di siti il cui stato della contaminazione non è noto o lo è in modo preliminare”. Un tunnel dove non si vede ancora la luce.

Rispondere agli obblighi europei

Per rispondere agli obblighi europei in materia ambientale – si legge nel Rapporto – il Fondo, istituito nel 2015 presso il Ministero dell’Ambiente ha sostenuto bonifiche in aree ad alto rischio, come la Valle del Sacco, Brescia Caffaro, Fidenza, Porto Marghera, l’Officina Grande Riparazione ETR di Bologna e l’Area Vasta di Giugliano. Proprio rispetto a questi interventi, l’istruttoria dei magistrati si è particolarmente concentrata, entrando più nel dettaglio, riservandosi di intervenirne in modo analogo nel prossimo futuro anche per gli altri siti.

Rispetto al caso della Valle del Sacco, per esempio, i magistrati hanno ripercorso il ginepraio di provvedimenti e iter procedurali, comprese le numerose proroghe dello stato d’emergenza (diventato perpetuo) e delle relative cifre stanziate, che nella sostanza non hanno finora prodotto nulla di significativo, non essendo andati, nel migliore dei casi, oltre la messa in sicurezza.

Nel caso specifico dell’area di Colleferro, denominato Arpa 2, solo nel gennaio scorso sono iniziati i lavori per la messa in sicurezza permanente, mentre per il sito denominato “Caffaro – Chetoni Fenilglicina – Comprensorio Industriale Di Colleferro”, dopo l’approvazione del progetto definitivo di bonifica, si è ancora impantanati nell’ennesimo “aggiornamento dello stato dei luoghi”, che ha richiesto ulteriori “riunioni tecniche con ARPA Lazio, oltre che con il MASE finalizzate ad un confronto su alcune criticità rilevate nel corso dei sopralluoghi operativi eseguiti nel sito ed è stata intrapresa una fase di aggiornamento sulla situazione ambientale con gli enti competenti”.

Bonifiche a passo di lumaca

In via generale, magistrati non mancano di segnalare pure l’eccessiva eterogeneità persino nelle modalità operative di tenuta e aggiornamento delle banche dati, auspicando, quindi, che “le Regioni adottino un approccio omogeneo nella compilazione delle anagrafi/banche dati con riferimento al fine di restituire una risposta equivalente sull’intero territorio nazionale e rendere tali dati comparabili”.

La maggiore criticità riscontrata rimane, comunque, l’assenza di coordinamento “fra i procedimenti relativi alla bonifica dei siti contaminati ed alle previsioni in materia di tutela risarcitoria contro i danni all’ambiente, procedimenti che vengono attivati — contestualmente o, in taluni casi, in tempi diversi – a seguito di fenomeni di inquinamento”. In generale – tiene a precisare il Rapporto –, per i siti di interesse nazionale, nonostante sia ricorrente “l’affidamento dell’attività di bonifica all’organo regionale il titolare della relativa competenza rimane lo Stato, il quale ricorre allo strumento dell’accordo di programma in funzione dei principi costituzionali di sussidiarietà, di adeguatezza e di differenziazione dell’attività amministrativa in rapporto alle specificità territoriali”.

Più luci che ombre sul fronte PNRR

Anche sul fronte PNRR più luci che ombre, essendosi concentrato esclusivamente sui “siti orfani” – definiti dal MASE siti potenzialmente contaminati nel quale il responsabile dell’inquinamento non è individuabile o non provvede agli adempimenti previsti, così come non provvede né il proprietario del sito né altro soggetto interessato – e avendo previsto per questi lo stanziamento di “appena” 500 milioni di euro. Cifra considerata “sottostimata rispetto alle risorse complessivamente disponibili ed all’urgenza dell’intervento in termini ambientali, sanitari ed in ultima analisi di ripresa economica degli ambienti interessati”.

Oltre alle implicazioni finanziarie, per i magistrati contabili è fondamentale considerare i rischi per la salute pubblica dovuti all’inquinamento, specialmente per le patologie tumorali. Dopo la bonifica dei siti inquinati, “è essenziale monitorare costantemente l’ambiente e la salute pubblica per garantire l’efficacia delle misure adottate. Il coinvolgimento delle comunità locali e delle parti interessate è cruciale per il successo delle bonifiche, richiedendo trasparenza e comunicazione efficace”.

I suggerimenti della Corte dei Conti

L’istruttoria si conclude con l’auspicio a un approccio integrato e coordinato tra il Ministero dell’Ambiente e le Regioni e le Province Autonome, con un impegno continuo per garantire un ambiente sano e sicuro per le generazioni future. È quindi quanto mai opportuno lavorare per un coordinamento più strutturato tra Ministero dell’Ambiente, Regioni e Province Autonome, secondo i principi di sussidiarietà, adeguatezza e differenziazione, e un potenziamento delle risorse umane e finanziarie degli enti locali, spesso in difficoltà nella gestione delle complesse procedure di bonifica. In tal senso la Corte suggerisce la costituzione di Unità Operative regionali specializzate per garantire supporto alle attività tecniche di bonifica, maggiore trasparenza e il coinvolgimento delle comunità locali.

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