L’Emilia Romagna ha subito 3 alluvioni nel giro di due anni scarsi. ARPAE, l’Agenzia Regionale per la Prevenzione, l’Ambiente e l’Energia della regione, ha redatto un report dedicato nel quale correla questi fenomeni, sempre più frequenti, a un concetto precedentemente poco conosciuto: il ciclone tropicale mediterraneo.
Può interessarti anche: “Nature Restoration Law: cos’è e come può ripristinare gli ambienti naturali“
Da anomalia a normalità
Fino a pochi anni fa, il ciclone tropicale mediterraneo era considerato un’anomalia da laboratorio. Si trattava di un avvenimento possibile, certo, perché se ne studiavano i modelli al computer e si era visto che determinate condizioni meteo potessero originarlo, ma era ritenuto una rarità difficilmente realizzabile, poiché tali condizioni erano poco concrete. Per originarlo occorreva un concorso atmosferico inverosimile, da simulazione virtuale appunto. Negli ultimi anni, però, queste certezze si sono sgretolate e, ora, un contesto che appariva utopico fino a un paio di lustri fa si verifica con allarmante ripetitività.
Il fenomeno combina, con efficacia distruttiva, la ferocia dei cicloni tropicali di cui ci danno notizia i media con il complesso bilanciamento del clima e dei microclimi del Mediterraneo. Questa simbiosi può dare origine a eventi violenti e distruttivi. Non a caso, ha attratto a sé l’attenzione della comunità scientifica e di chi risiede nelle zone costiere del mare nostrum, ovvero coloro i quali potrebbero sperimentare sulla propria pelle tutta la catastroficità del cambiamento climatico. Non possiamo vantare ancora grandi progressi sul fronte della ricerca scientifica dei cicloni tropicali mediterranei. Si tratta infatti di un fenomeno piuttosto nuovo, che testimonia, una volta in più, quanto imprevedibile sia la natura.
Cosa sappiamo sul ciclone tropicale mediterraneo
Indipendentemente da quale sia il luogo da cui si stia leggendo questo articolo, il lettore avrà sicuramente ben presente la collocazione e la geometria del mar Mediterraneo. Si tratta di uno specchio marino incastonato tra le terre, come dice il nome stesso, di tre differenti continenti. Essendo semilimitato da aree emerse, questo mare ha sempre avuto un clima differente rispetto a quello dei bacini idrici aperti. Quando il rifornimento d’acqua è così limitato, e la terra limita ogni spazio di sfogo, il braccio idrico ha poche possibilità di liberare la sua furia distruttiva. Questa tesi è stata vera per secoli, ma oggi qualcosa è cambiato.
Il medicane, dalla contrazione delle parole Mediterranean hurricane, ovvero ciclone tropicale mediterraneo, è oggi diventato una realtà con cui dobbiamo fare, non di rado, i conti. Parliamo di un sistema climatico che è già emerso come nuova sfida per la meteorologia. Combinando caratteristiche distruttive proprie dei più violenti cicloni dei tropici e depressioni extratropicali è venuto alla luce un fenomeno totalmente sconosciuto, il quale ha trovato spazio nel quadrante climatico del mare nostrum.
La nascita del medicane è un processo complesso. Tutto parte da un banco d’aria fredda che si sposta ad altitudine elevata e si trova ad attraversare il clima temperato che, tipicamente, caratterizza lo scacchiere del Mediterraneo. Il contrasto termico dà origine a una instabilità vorticosa, capace di originare potenti correnti convettive (tipiche degli uragani). In presenza di condizioni favorevoli al suo sviluppo, il sistema assume dunque l’aspetto ben noto di un ciclone: attorno a un occhio centrale si scatenano precipitazioni intense, improvvise e copiose. Un team misto di ricercatori italiani e francesi ha redatto un report che evidenzia la presenza di questi fenomeni e tenta di motivarne la comparsa.
Il ruolo del cambiamento climatico
Nell’evoluzione del fenomeno, ha giocato un ruolo di primo piano il cambiamento climatico. La temperatura dell’acqua superficiale del mare nostrum è in continuo rialzo, ormai da decenni. Ciò significa che le masse d’aria fredda hanno sempre maggiori possibilità di incontrare contraltari caldi. Quando due sistemi di questo tipo si incontrano, come si è già scritto, aumenta la possibilità di formazione di un ciclone tropicale mediterraneo. Di fatto, la probabilità di nascita di un medicane è direttamente proporzionale all’avanzamento del global warming.
La scienza ci conferma che il Mediterraneo è tra le vittime predilette del surriscaldamento globale. Rispetto alla media planetaria, l’ecosistema del mare nostrum si sta scaldando molto più velocemente, a un tasso che è più rapido del 20%. Si tratta di uno scenario naturalmente piuttosto preoccupante, che indica come potremmo trovarci, anche in Italia, a dover affrontare sfide meteorologicamente provanti, nel prossimo futuro.
“Il cosiddetto processo di tropicalizzazione può durare da qualche ora ad alcuni giorni. Durante questo periodo, il sistema si sviluppa attorno a un nucleo caldo e inizia ad alimentarsi di energia che sottrae, vorticosamente, dal mare. Si tratta dello stesso fenomeno che sta alla base della formazione degli uragani. Il vento può raggiungere velocità cicloniche, anche se il fenomeno interessa, generalmente, aree molto più piccole, e meglio definite, rispetto a quelle intercettate da un uragano. Sebbene l’area interessata sia considerevolmente meno ampia di quella su cui normalmente si sfoga un ciclone, rischi e pericoli rimangono tendenzialmente i medesimi.”
Spiega Silvio Gualdi, ricercatore presso l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia. Dalla sua enunciazione, appare ben chiaro come il fenomeno del ciclone tropicale mediterraneo non possa essere sottovalutato.
Può interessarti anche: “Le tribù dell’Amazzonia in lotta per salvare la foresta“