In occasione della Giornata mondiale dell’acqua, al Maxxi di Roma viene proiettato il video Tiberina e presentato Flumen, un progetto tra arte, scienza e attivismo realizzato dall’artista Andreco per riflettere sull’importanza di fiumi ed ecosistemi acquatici.
Il 22 marzo, per la Giornata mondiale dell’acqua, il museo Maxxi di Roma dà voce all’artista visivo Andrea Conte, in arte Andreco, e al suo progetto Flumen – Climate Actions per i parchi e i fiumi di Roma. Un progetto multidisciplinare tra arte, scienza e attivismo che riflette sull’importanza dei fiumi e gli ecosistemi acquatici promosso da Roma Culture, curato dal Dipartimento attività culturali di Roma e realizzato in collaborazione con la SIAE. Attraverso l’approccio della citizen science, dove il cittadino diventa scienziato e contribuisce alla raccolta dei dati utili per le ricerche, Flumen si articola attraverso laboratori e interventi di riqualificazione e piantumazione nelle aree del Tevere, dell’Aniene e del Parco di Veio. In occasione dell’appuntamento sarà inoltre proiettato il video “Tiberina”.
Partiamo dal video della performance che hai organizzato sull’isola Tiberina. Puoi raccontarci di più?
“È il video di una performance collettiva itinerante, che partiva dall’Isola Tiberina per passare sul Lungotevere, arrivare alla Bocca della Verità e proseguire fino al Giardino degli aranci. È stata prodotta da Romaeuropa Festival, in collaborazione con il Teatro dell’Opera di Roma, l’Accademia Santa Cecilia e Zetema per la Festa di Roma 2020 del Comune di Roma. Un progetto diverso da Flumen, ma sempre legato al fiume”.
Flumen è iniziato nel 2020. Siamo all’evento conclusivo o il progetto continua? E come è nato?
“Il progetto è stato finanziato dal Comune di Roma con un bando Eureka triennale, quindi prosegue per il 2022. Questo interesse per i fiumi, come artista, ce l’ho da parecchi anni. Adesso sono diventati un format, tra arte e scienza, che intendo portare in altre aree e estendere nel tempo. Ho fatto un progetto simile in India, sullo Yamuna che è un affluente del Gange, uno a Cuneo legato ai fiumi Gesso e Stura e uno a Firenze con un omaggio all’Arno”.
Perché i fiumi?
“Perché rigenerare i fiumi, sia in ambito urbano che rurale, è un grande driver per la sostenibilità ambientale. Intanto per il tema della qualità delle acque e la gestione sostenibile delle risorse idriche. E poi perché rigenerare un fiume in città vuol dire curare anche l’ecosistema fluviale e i suoi parchi. Flumen, infatti, riguarda anche gli spazi verdi limitrofi al fiume. Rigenerare un fiume in città significa anche intervenire sulla qualità e vivibilità della città per i suoi abitanti”.
È un progetto ibrido: c’è l’arte, la scienza e la partecipazione cittadina. Nella tua idea prevale la denuncia, la necessità di riqualificazione, la tutela o l’attivismo?
“Non c’è una cosa che prevale sull’altra. È un progetto multidisciplinare che vuole mettere in rete diversi linguaggi e esperienze: quella scientifica, artistica, quella della campagna ambientalista e della denuncia ma, soprattutto, delle possibili soluzioni. Flumen è molto legato all’ambito di ricerca delle nature-based solutions che, per ripristinare gli equilibri compromessi dall’uomo, trova soluzioni nella natura”.
Partecipano adulti e bambini. È un progetto più per adulti o più per bambini?
“Non c’è un destinatario principale. Il progetto prevede molti incontri, come in tutte le pratiche di arte sociale, che coinvolgono la cittadinanza e sono attente al processo. E quindi coinvolgiamo più tipi di pubblico possibili, dedicando degli incontri anche ai bambini, cambiando un po’ linguaggio. Per un pubblico adulto, più o meno esperto, ci sono incontri più tecnici e specifici”.
Difficile estraniarsi dalla guerra. Il Dnepr, il fiume di Kiev, attraversa tre Paesi, l’Ucraina, la Russia e la Bielorussia. I fiumi attraversano i confini. Così come l’inquinamento che viene riversato nelle loro acque o in mare o immesso nell’aria. Rifletti anche sui confini in questo tuo progetto?
“Certo. I confini sono un’altra tematica che ho affrontato molto come artista. Ed è vero, i fiumi attraversano i confini, senza documenti. Ho riflettuto molto sul senso del confine geografico e del confine politico. Quello che significa un’interruzione naturale, rappresentata da un corso d’acqua, una scogliera, il mare, una montagna, e quello che significa invece a livello politico un confine nazionale, che poi è quello che molto spesso crea della sofferenza, l’ha creata in passato e continua a crearla”.
Hai fatto altre opere sui confini?
“Il lavoro sui fiumi è un lavoro internazionale, perché il fiume non vede confini, come il tema ambientale. Ormai la responsabilità è planetaria, non si può pensare di affrontare il problema soltanto localmente, ma bisogna pensarlo anche in maniera globale. Le mie opere che riguardano esplicitamente i confini sono Parata per il paesaggio e One and only. La prima celebra appunto il confine geografico contro il confine politico, a Leuca, al confine sud est. L’altra, al confine nord est, con l’Austria, è un lavoro sulla montagna e ragiona sulla prima Guerra mondiale, una guerra di trincea. Entrambi riflettono sulle differenze tra un paesaggio che può essere visto come un’interruzione o un passaggio di stato, nel caso dell’acqua e della scogliera, e invece il confine politico”.
Il fiume come confluenze e connessioni. Lo vedi come un segno lineare o circolare?
“Bisogna guardare i fiumi attraverso lo schema del ciclo dell’acqua: scorrimento superficiale fino ai mari, evaporazione, precipitazioni e ritorno ai fiumi. Pensare dunque alla risorsa idrica come a qualcosa che poi torna. E se la inquiniamo, ci torna inquinata. Avere il senso della sua circolarità magari ci serve anche per preservarla. Dobbiamo essere consapevoli di quanto questa risorsa sia preziosa e la Giornata mondiale dell’acqua è l’occasione per ricordare che l’accesso all’acqua deve essere un diritto per tutti”.