La richiesta di monitoraggio di un maggior numero di PFAS nelle acque in un briefing che analizza i dati delle analisi dei 27 Paesi Ue: “Numero significativo di siti Ue è sotto pressione per inquinamento da PFOS”
“Le attività di monitoraggio devono essere ampliate per fornire maggiori informazioni su una più vasta gamma di PFAS in un’area geografica più ampia”. Richieste avanzata dall’Agenzia europea per l’ambiente in un recente briefing (“PFAS pollution in European waters”) che traccia un primo bilancio sui dati relativi ai PFAS inviati all’Agenzia dai 27 Paesi Ue. Secondo l’Agenzia europea per l’ambiente (AEA), in sintesi, paghiamo il prezzo di una conoscenza insufficiente sull’inquinamento dei PFAS (sostanze per- e polifluoroalchiliche, note anche come forever chemicals, sostanze chimiche eterne) nelle acque europee.
La presenza diffusa nelle acque europee di PFAS (in particolare PFOS) rappresenta, sottolinea l’AEA, “una chiara sfida all’ambizione dell’UE di un ambiente privo di sostanze tossiche” e “compromette l’obiettivo politico di raggiungere un buono stato chimico per i corpi idrici europei entro il 2027”. E senza una conoscenza più puntuale del fenomeno, sarà difficile raggiungere quegli obiettivi.
Le norme europee e il monitoraggio dei PFAS
L’UE ha adottato da tempo misure per affrontare l’inquinamento da PFAS: una di queste è l’inclusione del PFOS nell’elenco delle sostanze prioritarie indicate dalla Direttiva quadro sulle acque, con l’adozione di standard di qualità ambientale (SQA) per proteggere la salute umana e l’ambiente. Secondo la Direttiva quadro sulle acque (Water Framework Directive – WFD), infatti, gli Stati membri sono tenuti a monitorare una serie di sostanze prioritarie nelle acque superficiali, tra cui appunto il PFOS (acido perfluoroottansulfonico, possibile cancerogeno per l’uomo, secondo l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro).
Gli standard di qualità ambientale, asticelle oltre le quali la concentrazione di acido perfluoroottansolfonico è inaccettabile, sono attualmente pari a 0,65 nanogrammi di PFOS per litro (ng PFOS/l) per le acque interne di superficie, 0,13ng PFOS/l per le acque di transizione (quelle in prossimità della foce di un fiume), costiere e territoriali e 9,1 microgrammi di PFOS per chilogrammo (μg PFOS/kg) di peso umido per il biota (pesce). Dal 2021 gli Stati membri sono tenuti a riferire all’agenzia i risultati delle analisi e la loro conformità agli SQA.
L’inquietante presenza di PFOS
Il documento dell’agenzia è proprio una prima elaborazione di questi dati, focalizzata in particolare sul PFOS. Partiamo dal risultato, con l’avvertimento che andrà letto alla luce di una importante premessa.
I dati dei monitoraggi per il periodo 2018-2022 (qui una mappa) “indicano che il perfluorottano sulfonato (altro nome del PFOS, ndr) è diffuso in tutte le acque europee, spesso superando i livelli di soglia regolamentari fissati per evitare potenziali rischi per la salute umana e l’ambiente”, afferma l’AEA. Dal 2018 al 2022, il 51-60% dei fiumi, l’11-35% dei laghi e il 47-100% delle acque di transizione e costiere hanno superato la media annuale degli standard di qualità ambientale per il PFOS.
Il valore da attribuire a questi dati è chiarito nella premessa che abbiamo annunciato: “È difficile trarre conclusioni sulla misura in cui i valori soglia regolamentari vengono superati in Europa, e la tendenza nel tempo non è attualmente chiara”, precisa l’AEA. Ciò è dovuto “alle incertezze dei dati comunicati, alla qualità dei dati e alla copertura geografica, oltre che al numero crescente di risultati. Anche la granularità dei dati riportati varia a seconda dei Paesi e delle regioni”. Nonostante questo, precisa ancora l’agenzia, “si può concludere con sicurezza che un numero significativo di siti di monitoraggio dell’UE è sotto pressione a causa dell’inquinamento da PFOS”.
Il monitoraggio dei PFAS nelle acque superflue
A capire dove risieda l’incertezza di cui scrivono le ricercatrici e i ricercatori dell’agenzia, ci aiuta Stefano Polesello, ricercatore dell’Istituto di Ricerca sulle Acque (IRSA) del CNR: “Il superamento del limite per le acque superficiali, ad esempio, pari a 6,5 nanogrammi di PFOS per litro, non è rilevabile da tutti i laboratori, lavorando in modalità standard: le strumentazioni non sono abbastanza sensibili. Per farlo è necessario applicare tecnologie di arricchimento del campione, che sono molto onerose dal punto di vista del tempo e quindi anche dei costi. E questo è uno dei motivi della disomogeneità dei dati. C’è insomma un problema di upgrading dei laboratori europei”.
Ma l’agenzia segnala che, nonostante tutto, “la tendenza generale dell’UE indica che i metodi analitici per il rilevamento dei PFOS stanno diventando più sensibili nel tempo”.
A livello UE, leggiamo ancora in “PFAS pollution in European waters”, le acque costiere superano gli SQA per le concentrazioni medie annue di PFOS in proporzione maggiore rispetto agli altri corpi idrici: 100% di superamenti nel 2018 (ma si tratta di soli sei siti complessivi), 68% nel 2019 (su 28 siti), 47% nel 2020 (su 75 siti), 86% nel 2021 (su 49 siti) e 73% nel 2022 (su 80 siti). Per i fiumi, i valori sono stabili con circa il 50-60% dei siti (su un totale compreso tra 386 e 1.097) che superano annualmente gli SQA nel periodo sotto osservazione. Per i laghi, i superamenti sono generalmente in aumento, dall’11% nel 2018 (su soli 28 siti) al 35% nel 2022 (su 150 siti).
Le indicazioni dell’Agenzia europea per l’ambiente
Se questi dati, con le incertezze segnalate, riflettono l’attenzione dedicata ad uno dei PFAS più noti, studiati e osservati, resta un mare magnum di composti (le sostanze perfluoroalchiliche comprendono circa 10.000 composti diversi) dei quali si sa molto meno. Avverte l’Agenzia europea per l’ambiente: “C’è una crescente preoccupazione per gli effetti nocivi di tutti i composti del gruppo PFAS, compresa una crescente evidenza che i composti meno studiati possano avere impatti negativi simili” a quelli la cui pericolosità è accertata (principalmente PFOA, cancerogeno, e il citato PFOS, il cui rilascio nell’ambiente è vietato).
Per questo l’AEA segnala la necessità che le attività di monitoraggio vengano “ampliate per fornire maggiori informazioni su una gamma più ampia di PFAS in un’area geografica più estesa” e condotte con “metodi analitici più sensibili”.
Ecco perché le evidenze segnalate nel report, secondo l’Agenzia, “supportano l’attuale proposta della Direttiva quadro sulle acque di ampliare l’elenco delle sostanze prioritarie per includere 24 PFAS specifici”. Si tratterebbe quindi di passare da una sostanza della famiglia dei PFAS misurata nelle acque superficiali e sotterranee (il PFOS) a 24 (dallo PFOA all’acido perfluoroesanesolfonico-PFHxS o a quello perfluoropentanoico-PFPeA).
Inoltre l’AEA fa emergere “la necessità di rivedere i limiti dei PFAS nella Direttiva quadro sulle acque”. Polesello ci aiuta ancora una volta a capire: “L’Agenzia europea per l’ambiente fa notare che ci troviamo nella situazione in cui i limiti per il monitoraggio ambientale (acque superficiali e sotterranee) della proposta di revisione della direttiva quadro sulle acque sembrano più restrittivi di quelli vigenti per le acque potabili perché viene applicato un criterio diverso di derivazione. Abbiamo uno scollamento, e l’agenzia suggerisce un allineamento”.