Ricercatori dell’università californiana hanno studiato i vantaggi e il potenziale di stoccaggio di energia dai mattoni refrattari: ““Abbiamo scoperto che consentirebbero una transizione più rapida e meno costosa verso le energie rinnovabili”
Una forma di accumulo energetico inattesa (almeno per i più) quella che propongono alcuni ricercatori della Stanford University. Si tratta dei mattoni refrattari, quelli che spesso vediamo nei forni a legna delle pizzerie: oggetti fatti per conservare le proprie caratteristiche anche a temperature molto alte e che accompagnano l’uomo da millenni. Secondo Mark Z. Jacobson, Daniel J. Sambora, Yuanbei F. Fan e Andreas Mühlbauer, tutti affiliati al dipartimento di ingegneria civile e ambientale dell’università californiana, potrebbero risolvere non pochi problemi alla specie umana anche nella transizione verso un’economia a zero emissioni.
Una transizione in cui le rinnovabili – che sono pulite ma hanno il problema della discontinuità e non programmabilità – sostituiscono le fonti fossili ma richiedono che parte dell’energia prodotta venga conservata più o meno a lungo. Anche nei mattoni, secondo i ricercatori statunitensi, secondo alcuni precedenti per l’accumulo di calore nella produzione di vetro e di acciaio e per progetti di teleriscaldamento.
Ricordiamo che l’accumulo di calore è una delle frontiere dell’innovazione in questo campo, come dimostrano l’esperienza italiana di Magaldi Green Thermal Energy Storage, centrata sull’impiego della sabbia, o quella californiana della Rondo Heat Battery, che lavora appunto coi mattoni.
Come funziona l’accumulo attraverso i mattoni
I mattoni refrattari possono raggiungere temperature molto elevate, fino a 1.800 °C. Per portarli a queste temperatura si possono usare riscaldatori a resistenza elettrica (convertendo così elettricità in calore, con una parziale perdita di energia) oppure usando il calore impiegato durante la produzione di acciaio, vetro o carta, ottimizzando così l’intero processo. “Il calore può essere immagazzinato per ore, giorni o addirittura settimane”, afferma lo studio.
Un ruolo importante lo avrà l’isolamento. In un deposito di calore, “alcuni mattoni possono essere utilizzati per l’accumulo di calore e altri per l’isolamento. Quelli utilizzati per l’accumulo devono avere un elevato calore specifico, un’alta densità e un elevato punto di fusione”. Secondo i ricercatori, il tasso di perdita di calore stimato è dell’1% al giorno, se i mattoni sono adeguatamente isolati. Nel momento del bisogno l’energia accumulata viene rilasciata: ad esempio facendo passare tra i mattoni aria fredda, che si riscalda e può essere poi utilizzata nei processi produttivi o per attivare turbine e produrre elettricità. Oppure usando la radiazione infrarossa emessa dai mattoni roventi.
Quando l’energia dai mattoni conviene
Lo studio consiglia questa soluzione soprattutto in quei settori produttivi in cuii processi industriali richiedono calore ad alta temperatura: come la produzione di cemento, vetro, carta, acciaio. Proprio l’energia termica prodotta ma non utilizzata (anche nel forno di casa parte del calore si disperde nell’ambiente) potrebbe essere messa da parte.
“Immagazzinando l’energia nella forma più vicina al suo utilizzo finale, si riducono le inefficienze nella conversione energetica”, spiega a Cosmos Daniel Sambor, coautore dello studio: “Nel nostro campo si dice spesso che ‘se vuoi fare una doccia calda, conserva l’acqua calda, e se vuoi bere qualcosa di freddo, conserva il ghiaccio’; quindi questo studio può essere riassunto come ‘se hai bisogno di calore per l’industria, conservalo nei mattoni refrattari’”. Immagazzinare quello dispero nei processi produttivi invece che usare nuova energia elettrica per generare altro calore, insomma. Si può ovviamente impiegare questo sistema di accumulo anche per conservare energia elettrica, ma il processo di conversione (elettricità-calore e poi di nuovo calore-elettricità) rende il tutto meno efficiente.
I vantaggi dei mattoni refrattari
Usare i mattoni permetterebbe di ridurre la necessità di altre forme di accumulo, come le batterie o l’idrogeno (l’energia elettrica da conservare viene usata per produrre idrogeno, che al momento del bisogno può essere convertito di nuovo in energia elettrica o usato come combustibile). Secondo lo studio, pubblicato su PNAS Nexus,il bisogno di batterie si ridurrebbe del 14,5% (da 37,7 terawattora a 32,2) in uno scenario energetico di transizione completa a fonti di energia rinnovabili al 2050. Meno batterie vuol dire anche meno materie prime critiche, la cui scarsità e la cui concentrazione in pochi Paesi geopoliticamente problematici è una delle questioni spinose della transizione green.
Quanto all’idrogeno, le simulazioni della Stanford University indicano una riduzione del 31,4% della produzione annuale necessaria al 2050 per stoccare l’elettricità della rete.
Meno soldi e meno consumo di suolo
Accumulare l’energia nei mattoni ridurrebbe il fabbisogno complessivo di centrali fotovoltaiche e turbine eoliche, riducendo anche, stima la ricerca, la superficie per ospitarle di circa 2.700 km² a livello globale (poco più della superficie del Lussemburgo). La riduzione del consumo di suolo, riflettono gli studiosi, è rilevante anche per migliorare l’accettazione pubblica dei progetti di energia rinnovabile.
Se questi vantaggi non bastassero, all’appello manca il tornaconto economico. Nello studio lo stoccaggio nei mattoni viene descritto come “un’alternativa significativamente più economica rispetto ad altre forme di stoccaggio energetico”. I sistemi di stoccaggio coi mattoni costano meno di un decimo rispetto alle batterie, a parità di energia conservata. Per un risparmio totale stimato attorno al 2% del totale dei costi della transizione energetica nei 149 paesi considerati: 1,27 trilioni di dollari.
“Abbiamo scoperto che i mattoni refrattari consentono una transizione più rapida e meno costosa verso le energie rinnovabili, e questo aiuta tutti in termini di salute, clima, posti di lavoro e sicurezza energetica”, dice a Cosmos l’autore principale dello studio, il professor Mark Jacobson. “Anche i materiali sono molto più semplici. Sono fondamentalmente solo i componenti della terra”.