Il problema dello stress idrico è considerato come tale soltanto a partire dai primi anni 2000, a livello europeo. L’Unione non è mai riuscita a intavolare una strategia di insieme riguardo a questa questione e l’ha sempre considerata come una criticità dei suoi Stati più meridionali, quelli che accusano le temperature medie più elevate. A Bruxelles non hanno, di fatto, mai prestato l’attenzione necessaria al fenomeno. La frequenza dello stress idrico è infatti in aumento e l’area interessata si sta espandendo verso l’Europa centrale ed occidentale. I dati ci dicono che oggi, mediamente, il fenomeno colpisce ogni anno il 20% del territorio continentale e impatta sulle vite del 30% della popolazione locale.
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Definiamo lo stress idrico
Parliamo di stress idrico quando l’acqua disponibile presso una determinata area non è sufficiente. Ciò significa che, su una superficie ristretta, non è possibile soddisfare il fabbisogno, sia in termini quantitativi sia in termini qualitativi. Semplificando, potremmo dire che la richiesta di acqua dell’ambiente, della società e/o dell’economia è troppo elevata per l’effettiva disponibilità di fluido. Il termine stress idrico è piuttosto generico e comprende carenza d’acqua dovuta a un deficit di precipitazioni – tanto sul breve quanto sul lungo periodo – siccità, scarsità e bassa qualità.
Attenzione a non confondere i concetti di stress idrico e scarsità d’acqua. Quest’ultimo, infatti, definisce una condizione di stress sul medio periodo, prendendo dunque in esame una scadenza differente. Quando c’è scarsità, la richiesta d’acqua necessaria alle esigenze umane supera la capacità di approvvigionamento sostenibile del sistema naturale dei bacini fluviali. Abbiamo dunque a che fare con due indicatori leggermente differenti ma che rimandano allo stesso allarme: consumiamo troppa acqua in relazione a quanta il pianeta ne riesca a produrre.
Acqua e politica
A livello europeo esiste una direttiva quadro sulle acque (DQA) che sostiene la gestione integrata e contiene disposizioni per migliorarne l’uso efficiente. Essa si pone l’ambizioso obiettivo di raggiungere un uso sostenibile della risorsa, basato su quella disponibile a lungo termine. Bruxelles ha messo a disposizione degli Stati membri una piattaforma di comunicazione che mira a informare su siccità e carenza idrica, per rendere chiara la questione a tutti i governi. La direttiva ha portato alcuni risultati positivi, come ad esempio la diminuzione del prelievo totale di acqua, ma le politiche unitarie contro lo stress idrico restano frammentarie e i progressi complessivamente lenti.
L’attuazione dei piani messi a punto nelle stanze dei bottoni dipende dagli Stati membri e viene dunque portata avanti a velocità variabile. Tutti i corpi idrici europei dovrebbero raggiungere una buona condizione secondo l’obiettivo del Green Deal di proteggere, conservare e valorizzare il capitale naturale della UE e le sue risorse. La strategia di Bruxelles prevede un adattamento rapido e sollecita interventi urgenti. L’accesso all’acqua dolce va salvaguardato e il suo uso sostenibile garantito. Come frequentemente accade per le misure europee, però, alla parte normativa non corrisponde sempre un’operatività adeguata.
Usi e abusi dell’acqua potabile
In Europa, così come in Italia, la popolazione urbana continua ad aumentare e quella rurale a diminuire. Ciò comporta uno sviluppo inarrestabile delle aree periurbane, le quali servono a far fronte alle nuove esigenze abitative e lavorative della popolazione. Nelle aree costiere, le più vulnerabili all’innalzamento del livello degli oceani già in corso, l’espansione urbana è in continua accelerazione. Vi sono industrie particolarmente assetate, che fanno uso di tantissima acqua. Per esempio l’agricoltura (58% del totale disponibile); la produzione di energia elettrica (18%); il minerario, l’estrattivo, l’edile e il manufatturiero (11%); le famiglie e i servizi (13%).
Inevitabilmente, la questione dello stress idrico dà origine a una sorta di battaglia tra i vari settori produttivi ed economici, che entrano in competizione per accaparrarsi, per primi, l’acqua di cui hanno bisogno. Il potenziale di risparmio idrico è concreto in ogni settore, ma occorrono grandi investimenti per poterlo sbloccare. Le condizioni della rete, in Italia, sono pessime e gran parte dell’acqua potabile viene dispersa durante il percorso tra punto A e punto B. E non siamo certo gli unici. In numerosi Paesi dell’Europa meridionale e orientale, più del 25% dell’approvvigionamento totale viene perso nel trasporto a causa di tubature mantenute male.
Misure e progetti per affrontare lo stress idrico
Cambiamenti climatici e attività antropiche costringono gli Stati membri a studiare misure aggiuntive per garantire l’approvvigionamento idrico. In questo momento si stanno sperimentando metodi promettenti come la desalinizzazione, il riutilizzo dell’acqua già uscita dalle tubature e la raccolta di quella piovana. Per massimizzare l’efficacia di queste soluzioni, occorre applicare sinergie, tra due metodi o tra tutti e tre. Il numero di armi per combattere lo stress idrico è abbastanza limitato ma l’approccio combinato e il coinvolgimento di tutte le parti economiche e sociali possono portare ottimi risultati.
Al fine di consentire una gestione sostenibile della risorsa acqua e ridurre l’esposizione allo stress idrico, è necessario integrare la questione nelle altre politiche ambientali e favorire una visione di insieme. Affrontare stress e siccità significa consentire all’Unione di disporre dell’acqua di cui necessita. La maniera migliore di farlo è applicare una strategia bivalente: da un lato ricorrere alle tecnologie più moderne per il riuso e la razionalizzazione, dall’altro ridurre consumi e sprechi.
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