Nella Relazione annuale presentata dal Sistema di informazione per la sicurezza, per la prima volta un capitolo è dedicato alle attività di sicurezza ambientale. Di vitale importanza alla luce dei nuovi fondi Ue in arrivo.
La Relazione annuale sulla politica dell’informazione per la sicurezza 2021, a cura del Sistema di informazione per la Sicurezza della Repubblica comprende, per la prima volta, un capitolo specifico sulla sicurezza ambientale. Infatti, dato che il legislatore considera il capitale naturale nazionale un asset socioeconomico strategico per il Paese, il Ministro della Transizione Ecologica (MiTe) fa parte del Comitato interministeriale per la sicurezza della Repubblica e nell’ambito del Comparto intelligence è operativa una struttura dedicata alla tutela della sicurezza ambientale. Insomma, la sicurezza ambientale ha ormai piena e autonoma cittadinanza all’interno delle attività di intelligence affidate al Sistema di informazione. E il fatto che il Paese possa annoverare anche i Servizi tra i soggetti che monitorano le dinamiche ecocriminali è oggi di vitale importanza. In vista, soprattutto, dei bandi del MiTe destinati a finanziare la transizione ecologica, che hanno già attirato – come era ragionevole aspettarsi – le attenzioni di diversi gruppi criminali, attualmente al vaglio di alcune Procure antimafia. Non a caso, uno dei focus informativi si è indirizzato verso l’individuazione di soggetti (anche stranieri) presenti nell’azionariato o nella governance, in posizioni dominanti o lobbistiche, di imprese di interesse nazionale nonché di PMI, in grado di indirizzarne negativamente le linee strategiche.
Le attività di intelligence ambientali
La Relazione presentata al Parlamento il 28 febbraio scorso sottolinea il ruolo cruciale dell’intelligence, “per la sua capacità di anticipare al decisore politico criticità e vulnerabilità, in un’ottica di sistema, con l’obiettivo di riuscire a coniugare l’interesse primario alla tutela dell’ambiente e della salute con quello, altrettanto imprescindibile, della capacità produttiva e della competitività del Paese”.
I principali settori dove si è concentrata l’azione dei Servizi informativi hanno riguardato “le disfunzionalità sistemiche, politico amministrative e infrastrutturali, nonché gli interessi distorsivi di soggetti, nazionali ed esteri, che potrebbero influenzare negativamente la capacità del Paese di perseguire gli obiettivi di sviluppo sostenibile, transizione energetica [..] nonché gestione ottimale dei settori idrico e dei rifiuti”. L’intelligence ambientale si è occupata anche di tutela del settore agroalimentare, “inclusa la salvaguardia della relativa filiera e del Made in Italy, con specifico riferimento al territorio, alla salute pubblica e alla biosicurezza”. Allo stesso tempo è stata condotta una azione di valutazione e previsione dei rischi derivanti dall’impiego, incauto o malevolo, di materiale chimico, biologico, radiologico e nucleare (CBRN) anche per quel che concerne le attività di decommissioning (smaltimento di materiale nucleare).
Le criticità emerse
L’attività di intelligence ha consentito di “mettere in luce alcune criticità relative alla transizione ecologica, tra le quali quelle per giungere all’emanazione di provvedimenti regolatori, soprattutto nel settore dell’economia circolare, la non uniformità di alcune norme locali nonché l’applicazione a livello locale della normativa nazionale. A ciò vanno ad aggiungersi la frammentazione delle responsabilità tra i vari stakeholder, la mancanza di un adeguato know-how tecnico all’interno degli enti pubblici, il debole coinvolgimento delle istituzioni e delle comunità locali – che ha talvolta generato la reticenza della società civile ad accettare adeguamenti impiantistici e processi di riqualificazione green – le difficoltà di industrializzazione dei settori emergenti, anche a causa delle permanenti criticità autorizzative e della mancanza di studi approfonditi di settore sui potenziali, relativi impatti ambientali”. Aspetti, questi ultimi, di grande importanza, considerati cruciali sia per gli addetti ai lavori che per gli stakeholder, che dimostrano come gli analisti dell’intelligence abbiano messo il dito nella piaga.
Un focus è dedicato ai contaminanti emergenti, cioè quelle sostanze inquinanti, con effetti nocivi noti solo in parte o ancora in fase di studio (quali, a esempio, le sostanze perfluoroalchiliche, meglio noti come PFAS) utilizzate in diversi processi produttivi. Sostanze che sebbene si caratterizzino “per il loro alto potenziale inquinante e per il rilevante tasso di tossicità e di resistenza alla degradabilità”, ancora oggi sono solo debolmente disciplinate per il loro impiego industriale e manifatturiero, in un’ottica di prevenzione da danni ambientali e sanitari. I curatori della Relazione sottolineano di aver “lavorato allo scopo di comprendere gli ambiti d’impiego di tali sostanze e di individuare le aree del territorio nazionale maggiormente a rischio”.