Materie prime trattate come rifiuti a causa di incertezze normative, diffidenza e scarsa conoscenza. I sottoprodotti in Italia faticano a rientrare nei processi produttivi, finendo per gonfiare la produzione dei rifiuti. Nonostante quanto auspicato dall’Unione europea.
I sottoprodotti sono miniere inesplorate di risorse, che incertezze normative, diffidenza e ignoranza diffusa relegano sistematicamente nel mondo di sotto dei rifiuti. Alle ragioni di tale paradosso il Laboratorio REF Ricerche ha dedicato il position paper “Scarti di produzione e sottoprodotti: l’economia circolare in pratica”.
Cosa sono i sottoprodotti
I sottoprodotti sono residui di produzione (sfridi, cascami e altri tipi di avanzi di processi produttivi) che possono essere gestiti come beni – quindi non come rifiuti – se soddisfano le quattro condizioni previste dall’art. 184-bis del Testo Unico Ambientale (D.lgs 152/2006) ovvero:
- la sostanza o l’oggetto è originato da un processo di produzione, di cui costituisce parte integrante, e il cui scopo primario non è la produzione di tale sostanza o oggetto;
- è certo che la sostanza o l’oggetto sarà utilizzato, nel corso dello stesso processo di produzione o di uno stadio successivo, da parte del produttore o di terzi;
- la sostanza o l’oggetto può essere utilizzato direttamente senza ulteriori trattamenti, diversi dalla normale pratica industriale;
- la sostanza o l’oggetto soddisfa tutti i requisiti riguardanti i prodotti e la protezione della salute e dell’ambiente, e non porta a impatti negativi sull’ambiente o la salute umana.
Se anche una sola delle condizioni precedenti viene a mancare, lo scarto di produzione rientra inesorabilmente nella disciplina dei rifiuti, con tutto ciò che ne consegue in termini di costi e procedure di tracciabilità.
Da rifiuti a sottoprodotti grazie alla simbiosi industriale
L’elemento determinante ai fini della classificazione come rifiuto o sottoprodotto è che il residuo abbia una sua utilità all’interno di un processo produttivo e che il suo impiego sia compatibile con le norme di settore, senza arrecare danni ambientali e/o sanitari. Ma, soprattutto, che ci sia un mercato di riferimento. È dunque principalmente il contesto, non il residuo in sé, a determinare lo status di rifiuto o di sottoprodotto, a sua volta determinato dalle scelte politiche e dalle politiche industriali; è la simbiosi industriale la bacchetta magica capace di trasformare il residuo di un’impresa nella materia prima di un’altra.
L’opportunità di impiego dei sottoprodotti in una logica di osmosi industriale è peraltro incentivata anche dai Criteri Ambientali Minimi (CAM) approvati nell’ambito del Piano d’Azione Nazionale sul Green Public Procurement (PAN-GPP) o come il recente aggiornamento dei CAM nel settore tessile.
In assenza di policy adeguate, ancora oggi, molti operatori economici sono purtroppo più inclini a classificare come rifiuti potenziali sottoprodotti, come accade quasi sempre nelle manifatture tessili e agroalimentari, per evitare d’incappare in conteziosi dall’esito incerto con le autorità di controllo, in un clima generale di incertezza e sfiducia reciproca. Basti pensare che alcuni dei principali processi in corso per l’accusa di traffico organizzato di rifiuti si sono incardinati nella voragine d’incertezza tra la natura di rifiuto o sottoprodotto, come dimostra, per fare un solo esempio, la vicenda legata all’impiego del Keu in Toscana.
Anche per questa ragione, ogni anno la quota di rifiuti prodotti in Italia aumenta, aggravando in negativo il disaccoppiamento con il PIL, che tra 2010 e 2020 si è contratto di oltre l’8%, mentre la produzione di rifiuti è cresciuta di più del 21%. Una contraddizione evidente in un Paese come il nostro, dove la presenza 41 distretti industriali nati sull’osmosi dei processi produttivi caratterizza il settore manifatturiero nazionale. E in controtendenza rispetto a quanto auspicato dall’Unione europea, come dimostrano i casi di Francia e Germania dove la produzione di rifiuti è cresciuta meno del PIL.
Qualche buona notizia arriva dall’iniziativa di alcune Regioni che si sono mosse per fornire un quadro normativo meno incerto, come Emilia Romagna e Toscana, come anche dallo sforzo costruttivo delle Camere di Commercio (basti pensare allo studio recente di Unioncamere). Per il resto, ancora molto rimane da fare.
Cosa fare per aumentare l’uso dei sottoprodotti
Secondo gli autori di REF Ricerche, rimuovere l’incertezza normativa e la diffidenza che accompagna l’uso dei sottoprodotti è necessario per favorirne l’utilizzo, così come ripensare i cicli produttivi, semplificare gli adempimenti amministrativi, utilizzare gli strumenti economici e fiscali per incentivarne l’impiego.
Affinché i sottoprodotti possano generare valore servono tre condizioni imprescindibili:
- una filiera organizzata per ridurre al minimo i rifiuti, sia nell’ambito di ciascuna realtà produttiva che in un’ottica di reti d’imprese;
- un mercato efficiente, cioè uno spazio di agibilità economica in grado di assorbire efficacemente i sottoprodotti, che mai come in questo caso deve essere una costruzione sociale;
- policy a sostegno dell’impiego dei sottoprodotti, giustificate sia in un’ottica di riduzione dei rifiuti che per l’uso efficiente delle risorse, quindi con duplice vantaggio.
Inoltre, al fine di agevolare l’identificazione dei sottoprodotti all’interno dei processi produttivi sarebbe utile che già in sede di rilascio delle autorizzazioni richieste per l’esercizio dello specifico processo produttivo (AIA, AUA o altra autorizzazione), i sottoprodotti fossero contemplati dal proponente tra le innovazioni di processo; sin dall’inizio i progetti dovrebbero essere concepiti in modo da ridurre al minimo la produzione di rifiuti e, grazie all’applicazione delle migliori tecniche disponibili, massimizzare qualificazione e utilizzo dei sottoprodotti.
Ultimo ma non meno importante tassello, l’attivazione di percorsi di formazione e di informazione destinati agli attori economici e alle autorità di controllo – che dovrebbero svolgere un inedito lavoro di squadra – permetterebbe di sfruttare al massimo le attuali potenzialità insite nell’uso industriale dei sottoprodotti.