La crisi climatica minaccia, in maniera sempre più seria, la montagna e i ghiacciai alpini. Il 2023 che si sta per chiudere è stato gravemente segnato da record negativi per le alte quote. Legambiente ha presentato, a metà dicembre, una sorta di bilancio di fine anno dedicato alla montagna. Così facendo ha messo nero su bianco le principali minacce e i più considerevoli fattori di rischio climatico. Dal quadro risultante emerge una situazione sempre più preoccupante. Non è possibile continuare a rimandare gli interventi necessari a contrastare il surriscaldamento atmosferico.
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Il monito di Legambiente
Lo scorso 11 dicembre è stata la giornata internazionale della montagna. In tale occasione, Legambiente ha reso pubblico il suo quarto report Carovana dei ghiacciai, relativo al 2023. Nella stessa sede si è tenuta la proiezione del documentario Carovana dei Ghiacciai, girato per l’associazione dal videomaker David Fricano.
Il report traccia un quadro impietoso. Negli ultimi 365 giorni la montagna ha sofferto tantissimo e i ghiacciai alpini sono sotto forte stress. Le cause di questa situazione sono svariate. Innanzitutto c’è il caldo torrido. Come sappiamo fin dal termine della scorsa estate, il 2023 è stato l’anno più caldo da quando li misuriamo e lo zero termico è arrivato a una quota altissima (5398 metri sulle Alpi). Liguria, Piemonte, Valle d’Aosta, Lombardia, Trentino Alto Adige, Veneto e Friuli Venezia Giulia – tutte le regioni collocate sull’arco alpino – hanno assistito a un aumento dei fenomeni climatici estremi evidente a occhio nudo.
Si pensi che l’osservatorio Città Clima di Legambiente, preposto a evidenziare e segnalare i fenomeni climatici più seri, ha registrato 144 fenomeni atmosferici estremi nei primi 10 mesi del 2023. Nel 2022 furono 97, nell’intero anno, mentre nel 2010 ne contammo soltanto 8. Conseguentemente a ciò, il regresso dei ghiacciai alpini sull’arco montano è continuato in maniera incessante. Sebbene nel 2022 la situazione era apparsa più grave, perché non avevamo potuto godere delle abbondanti nevicate primaverili cui abbiamo assistito quest’anno, siamo testimoni di un trend ormai consolidato. Di questo passo, i ghiacciai saranno sempre più esigui e contenuti.
Ghiacciai alpini sotto osservazione
Il Comitato Glaciologico Italiano (CGI) che ha affiancato Legambiente durante l’evento dell’11 dicembre, non ha usato mezzi termini.
“Il ghiacciaio dei Forni è un malato terminale che sta scomparendo sotto i nostri occhi. Ha perso il 50% in più di spessore, per fusione, rispetto al 2022. Rischia di scomparire entro il 2060. Dal 21 al 24 agosto ha perso 37 centimetri di spessore di ghiaccio, superiore alla media di 6 centimetri al giorno. Speravamo che il 2023 avrebbe comportato una situazione diversa per i nostri ghiacciai, ma purtroppo sta peggiorando.”
Hanno affermato Guglielmina Diolaiuti e Claudio Smiraglia, del CGI. Anche in un mese come quello di dicembre, nel quale si apre l’inverno e la situazione dovrebbe agevolare la compattezza dei ghiacciai alpini, persistono condizioni preoccupanti. Come ha denunciato Smiraglia durante la presentazione del report:
“In queste giornate lo zero termico è stato sempre oltre i 4.000 metri. A volte oltre i 5.000 metri. Tutto il ghiacciaio dei Forni è ai livelli di fusione. Questo libera una grande quantità di acqua che, nei prossimi anni, causerà una riduzione enorme dei volumi del ghiacciaio. Di conseguenza, assisteremo a un minor rilascio idrico estivo, con impatti non trascurabili neppure in pianura. Se le temperature continueranno a seguire questa tendenza al rialzo, il ghiacciaio subirà conseguenze gravissime.”
Il ritiro dei ghiacciai è strettamente collegato alla siccità estiva. La riserva d’acqua rappresentata da questi serbatoi allo stato solido è infatti essenziale per il benessere delle comunità. Senza essa non può esistere agricoltura, e neppure l’essere umano può restare in vita.
I ghiacciai alpini testimoni del cambiamento climatico
“È indubbio che le attività antropiche, in primis le emissioni derivanti dallo sfruttamento dei combustibili fossili, abbiano determinato un aumento di gas climalteranti. Questi sono i principali responsabili del riscaldamento atmosferico attuale.
Ha desiderato precisare il glaciologo Smiraglia di fronte ai media che assistevano alla presentazione del report di Legambiente. È questo che sembriamo non capire. L’uomo è il principale responsabile di quanto stia avvenendo, ormai da decenni, su questo pianeta. In quanto fautori del problema dovremmo assumerci la responsabilità di trovare il modo di risolverlo. Invece, continuiamo a rimandare.
Le considerazioni fatte per il ghiacciaio dei Forni, parte del parco dello Stelvio, si possono trasferire al ghiacciaio del Belvedere, sul Monte Rosa, o a quelli dell’Adamello: Mandrone, Lares e Lobbia. Tutti i citati hanno perso porzioni importanti della propria superficie a causa del fenomeno dei calderoni. Si tratta della comparsa di crepacci circolari che frammentano il ghiaccio, indebolendolo e originando repentini crolli. La carovana dei ghiacciai ha posto sotto osservazione anche quelli svizzeri e austriaci, riscontrando in essi le stesse, considerevoli, riduzioni di superficie. Lo stato attuale delle riserve d’acqua alpine è preoccupante. Se nulla cambierà in fretta, sarà impossibile guardare al futuro senza pessimismo.
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