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Le ombre di Seveso

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A 45 anni dall’incidente di Seveso, secondo alcune analisi la concentrazione di diossina nei terreni è ancora alta. E le ombre sulla gestione delle vasche di contenimento non sono state dissipate.

Era il 10 luglio 1976 e la produzione nel piccolo impianto chimico dell’ICMESA di Meda (Monza e Brianza) era sospesa per il fine settimana. Per un’avaria, il sistema che sorvegliava il reattore chimico smise di funzionare. Nessuno si accorse che la pressione delle caldaie saliva oltre i limiti, fino a quando un getto di polvere bianca uscì con forza da una ciminiera dello stabilimento. Erano le 12,27. Il vento spinse verso sud quella nube opalescente e la lasciò cadere nel vicino territorio di Seveso. Molti animali morirono, la pelle dei bambini che giocavano all’aperto si irritò violentemente. Iniziava così il più grave incidente ambientale d’Italia, passato alla storia come il “disastro di Seveso”. Un’enorme quantità di diossina aveva contaminato un intero territorio. Mille persone furono evacuate e, in più fasi, un’area di 50 chilometri quadrati fu interdetta a ogni accesso. Le conseguenze portarono gravi danni alla salute di 282 persone, in gran parte bambini. Nel 2010 la rivista Time poneva Seveso all’ottavo posto tra i disastri ambientali più gravi della storia.

La bonifica

La bonifica dell’area contaminata venne fatta demolendo ogni edificio e rimuovendo la terra fino a una profondità di 80 centimetri. All’inizio degli anni 80 vennero create due enormi vasche di contenimento, una di 80.000 metri cubi nel Comune di Meda (MB) e una di 200.000 metri cubi nel territorio di Seveso. Al loro interno venne riposto tutto ciò che era presente nella zona colpita da diossina: il terreno rimosso, le macerie delle abitazioni e anche quelle dello stabilimento ICMESA che fu demolito. Il reattore, causa dell’incidente, venne sigillato in un sarcofago di cemento prima di essere sepolto insieme ai macchinari utilizzati per la demolizione e gli scavi. Sopra queste due vasche, sorge oggi il Parco naturale Bosco delle Querce. Nel 1987 la Regione Lombardia ha dichiarato conclusa la bonifica e ha interrotto le analisi, almeno fino al 2013 quando è stato reso obbligatorio analizzare il terreno prima di realizzare opere edilizie.

Il pericolo è sepolto, non scomparso

La diossina è ancora presente nel terreno. “Le ultime indagini realizzate nel 2019 da Fondazione Lombardia per l’Ambiente hanno rilevato nel terreno la stessa quantità di diossina scoperta nel 1976 – afferma Gianni Del Pero, presidente di Wwf Lombardia – anche le indagini di Arpa nel 2018 hanno confermato la presenza di diossina sotto l’asfalto della superstrada Milano-Meda, con valori assoluti superiori a 600 nanogrammi per chilo”. Se la normativa attuale impone controlli stringenti per le attività edilizie, non è altrettanto attenta alle aree agricole. Nei terreni di via della Roggia, nel Comune di Seveso, sono stati rilevati valori di diossina prossimi ai 200 nanogrammi per chilo, a fronte di un limite di legge di 100 per le aree industriali, 10 per quelle residenziali e 6 per quelle agricole, secondo quanto previsto dal Ministero dell’Ambiente con Decreto nel 2019. Invece in questa zona si coltiva e si semina. “La diossina non è pericolosa se resta imprigionata nel terreno – precisa Del Piero – bisogna adottare però almeno due precauzioni: non scavare nei terreni dove è presente diossina e non coltivare alimenti che possano accumularla”.

Voci in contraltare

A luglio scorso il Sindaco di Seveso Luca Allievi ha rassegnato le proprie dimissioni, motivate dalle “moltissime zone d’ombra che riguardano la gestione delle due vasche di contenimento, quella di Seveso e quella di Meda”. Insieme alle sue dimissioni, Allievi ha presentato un esposto in Procura in cui afferma che, probabilmente, le vasche perdono e che nel corso del suo mandato (iniziato a settembre 2018) ha maturato serie perplessità sulle motivazioni che hanno spinto La Regione ad affidare un sito così pericoloso al Comune. Denunciando, tra le altre cose, l’assenza totale del monitoraggio e del sistema di rilevazione del percolato, l’assenza di protocolli operativi per la gestione ordinaria delle vasche, l’assenza di un piano di controllo e di pianificazione degli interventi di manutenzione delle vasche. Allievi concludeva chiedendo alla Procura il sequestro del sito. Secondo l’Assessore regionale all’Ambiente e al Clima Raffaele Cattaneo, invece, le analisi condotte sul percolato non hanno evidenziato concentrazioni rilevanti di diossina né sono mai insorte criticità che facciano temere rischi per la popolazione e l’ambiente. A gennaio 2021 la Regione ha assunto di nuovo la gestione delle vasche, attivandosi per verificare se fossero necessarie opere di manutenzione straordinaria e affidando all’Ente regionale per i servizi all’agricoltura e alle foreste (Ersaf) le verifiche necessarie. Secondo i risultati diffusi a giugno, non ci sono situazioni di allarme: solo alcuni punti in cui sono necessari “interventi migliorativi”. Intanto, per la manutenzione delle vasche e il controllo del percolato, La Regione ha stanziato 450mila euro.

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