L’Italia è tra i Paesi migliori dell’Unione europea in tema di economia circolare, ma stiamo rallentando. Soprattutto sul fronte della ricerca e dell’innovazione. Mentre la transizione energetica è sempre più lenta.
A chi sostiene lancia in resta l’indiscutibile primato nazionale nell’economia circolare, consigliamo la lettura dell’ultimo report Circonomia, secondo il quale l’Italia è certamente tra i Paesi europei – e forse mondiali – che raggiungono i risultati migliori, ma è stata ormai superata dall’Olanda. Il Rapporto Circonomia (il festival dell’economia circolare e della transizione ecologica promosso in collaborazione con Legambiente, Kyoto Club, Fondazione Symbola), realizzato su una solida base di dati e curato da Ambiente Italia, restituisce un ranking europeo costruito su 17 diversi indicatori che misurano:
– l’impatto ambientale diretto (impatto pro-capite) delle attività economiche e civili su ambiente e clima (5 indicatori);
– l’efficienza d’uso delle risorse (6 indicatori);
– la capacità di risposta ai problemi ambientali (6 indicatori).
Italia tra i Paesi Ue migliori nell’economia circolare, ma in stallo
Una sintesi efficace dei risultati la fa il direttore scientifico del Festival, Roberto Della Seta. “Questo quarto rapporto Circonomia – spiega – certifica che l’Italia, fino all’anno scorso primatista in Europa in economia circolare, cioè nella capacità di utilizzare nel modo più efficiente le risorse naturali, non è più in testa alla classifica, sorpassata dall’Olanda”. Ma più del sorpasso olandese, a colpire è il brusco rallentamento del cammino green italiano negli ultimi anni. Su tutti i 17 indicatori utilizzati nel rapporto, tranne quello relativo al tasso di riciclo dei rifiuti, dal 2018 in poi, corriamo di meno della media dei Paesi Ue. “Talvolta il peggioramento – continua Della Seta – non è solo relativo ma assoluto: consumiamo più materia e produciamo più rifiuti (sia per abitante che per unità di Pil, mentre i dati medi europei segnano una riduzione), produciamo più emissioni climalteranti pro-capite, siamo stabili nel consumo di energia fossile (mentre in Europa cala del 5%) e nella crescita delle energie rinnovabili: +7% sul totale dei consumi contro il +14% dell’Europa, +2% sulla produzione elettrica contro il +15% europeo”.
Malgrado questa vistosa perdita di velocità nella transizione sostenibile, l’Italia rimane tra i Paesi europei più avanti nel passaggio a un’economia circolare. Nel ranking di Circonomia, siamo comunque il Paese europeo con la prestazione migliore della media europea in 15 su 17 indicatori, dal consumo di materia per unità di Pil al tasso di utilizzo di materie prime provenienti da riciclo, e restiamo primi per il tasso di riciclo sul totale dei rifiuti prodotti. “L’Italia rimane davanti ai principali Paesi europei – Germania, Francia, Spagna – ma con un vantaggio che si va rapidamente assottigliando ed evidenzia un sostanziale stallo nella sua transizione ecologica”, sottolinea Della Seta.
I punti deboli dell’Italia in tema di economia circolare e sostenibilità
Non è consigliabile cullarsi sugli allori del passato. Le buone prestazioni italiane in molti indicatori di sostenibilità e circolarità, spiega la ricerca, hanno un carattere più reattivo che strategico e dipendono in diversi casi (consumo di materia, consumi energetici) da ragioni oggettive più che da scelte sistemiche: siamo un Paese povero di materie prime e da sempre abbiamo dovuto ingegnarci a fare molto con poco. “Ciò che manca all’Italia per tradurre queste premesse e i buoni risultati raggiunti in trend consolidati – scrivono i ricercatori – è un’idea di futuro, sinergica tra decisori pubblici e privati, finalizzata a qualificare sempre di più l’economia italiana nel senso della circolarità e della sostenibilità ambientale e a fare di tale prospettiva un nostro valore aggiunto competitivo”. Tra le prove principali di questa mancanza di visione strategica, la debolezza italiana in tema di innovazione tecnologica verde (brevetti, eco Innovation index), di ricerca e qualificazione del capitale umano (percentuale di laureati, skill tecnico-scientifici ecc.).
Sulla transizione energetica l’Italia va a rilento
La crisi profonda e strutturale del cammino italiano verso la transizione ecologica viene denunciata soprattutto nel campo della transizione energetica dalle fonti fossili alle rinnovabili (sole e vento). Transizione decisiva per fronteggiare con efficacia la crisi climatica in atto che vede, peraltro, il nostro Paese come bersaglio privilegiato. L’Italia in effetti, ricorda il report, “è uno degli epicentri della crisi climatica globale, con una temperatura media cresciuta di quasi 3 °C rispetto al periodo pre-industriale: aumento quasi triplo rispetto al dato globale”. Eppure, il consumo di energia fossile per unità di PIL diminuisce in Italia solo del 5,5% rispetto alla media europea del 12% e a riduzioni più consistenti rispetto all’Italia in tutte le grandi economie. Rimane poi drammaticamente stabile il consumo italiano di energia fossile procapite, che invece scende del 5% in Europa e del 7% in Germania e in Francia. Andiamo a rilento sul fronte delle rinnovabili, tanto che lo studio para di “arretramento”: nel 2022 la produzione italiana da eolico si è contratta di circa l’1% rispetto all’anno prima, mentre su scala Ue è aumentata del 9%. Sempre nel 2022 la produzione nazionale del solare fotovoltaico è cresciuta del 10%, a fronte di un incremento medio del 26% nell’Unione europea, del 20% in Germania, di oltre il 25% in Spagna e Francia, del 54% in Olanda. Le cose non vanno meglio considerando solo la nuova capacità fotovoltaica installata: in Italia è aumentata dell’11%, la metà di quanto è cresciuta mediamente nell’Unione europea (+22%) e addirittura un quinto di quanto è cresciuta in Olanda.