Nel corso del 2020 l’Italia ha perso ben 60 chilometri quadrati di suolo, con danni non solo ambientali ma anche di tipo economico.
Non è solo una questione che ha a che fare con l’ambiente, e quindi con la salute, ma anche con le nostre tasche. Secondo il “Rapporto sul consumo di suolo in Italia 2021” realizzato dall’Ispra, lo scorso anno le colate di cemento hanno coperto altri 60 chilometri quadrati nella Penisola, nonostante il blocco delle attività edilizie nei mesi di lockdown. Non si ferma l’opera di erosione del terreno naturale che, nell’arco di 60 anni, ha portato la media italiana di metri quadrati di cemento pro capite da 160 a 360: più del doppio, tanto che la superficie impermeabile interessa ormai il 7% di tutto il territorio nazionale. Una copertura che impedisce al suolo di respirare e all’acqua di essere assorbita.
Città sempre più calde e aree produttive dismesse più cementificate
Dai dati Ispra emerge che al primo posto per consumo di suolo si piazza la Lombardia (quarta Regione italiana per estensione territoriale), con 765 ettari cementificati in più rispetto al 2020, seguita da Veneto (+682 ettari) e Puglia (+493). Al quarto posto il Piemonte (+439), seguito dal Lazio (+431). A livello nazionale, sono oltre 2.300 gli ettari cementificati all’interno di città e aree produttive (il 46% del totale) nel corso di dodici mesi. Per questo le nostre città sono sempre più calde, con temperature estive già più alte di 2°C, che possono arrivare anche a 6°C in più rispetto alle aree limitrofe non urbanizzate.
Per quanto riguarda i Siti di interesse nazionale, tra il 2019 e il 2020 sono state rilevate nuove coperture artificiali all’interno di 20 SIN, molte delle quali collegate alla realizzazione di nuovi campi fotovoltaici. I maggiori cambiamenti sono avvenuti nel Sulcis-Inglesiente-Guspinese (circa 76 ettari), nelle aree industriali di Porto Torres (37,6 ettari) e a Taranto (9,5 ettari). Complessivamente, oltre 22.600 ettari di territorio compresi nel perimetro dei Siti di interesse nazionale risultano coperti artificialmente, con percentuali maggiori per i SIN Officina Grande Riparazione Etr di Bologna (97%), Livorno (92%), Venezia Porto Marghera e Napoli Orientale (poco sotto il 90%). In controtendenza i SIN di Casale Monferrato e Brescia – Caffaro, in cui sono stati rinaturalizzati rispettivamente 1,2 e 1,3 ettari di suolo consumato.
I danni economici
Non solo il cambiamento climatico. La cementificazione provoca danni anche in termini economici. Il rapporto Ispra li quantifica in 5 miliardi di euro solo per il 2020, con una proiezione al 2030 tra gli 81 e i 99 miliardi di euro se saranno confermati i ritmi dell’ultimo anno. Una somma gigantesca, di un filo inferiore all’intera dotazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR), calcolata sulle mancate forniture di prodotti agricoli, sui danni prodotti dall’azione delle piogge che scorrono in superficie – aumentando il rischio idraulico dei territori – e sullo stoccaggio di carbonio. Cambiare rotta è dunque indispensabile, e occorre farlo subito, perché l’Unione europea ha fissato l’obiettivo consumo di suolo pari a zero entro il 2050. Per arrivarci non bastano interventi parziali, avverte l’Ispra, ma occorre mettere in campo un vero piano di sviluppo del territorio incentrato sui principi dell’economia circolare, secondo cui la materia prima contenuta nei prodotti non finisce in discarica quando questi ultimi arrivano a fine vita, ma tornano in circolo per altri utilizzi. Più semplice a dirsi che a farsi, considerato che comporta un cambiamento profondo del nostro modo di produrre e di consumare.
Per approfondimenti ecco il rapporto Inspra 2023.