A Vicenza si svolge il processo che vede imputati 15 manager della Miteni per avvelenamento di un territorio abitato da 300mila persone. Quanto emergerà è destinato a fare storia nel nostro Paese ma non solo.
Otto anni dopo aver scoperto che i Pfas hanno inquinato la falda acquifera da cui attingono gli acquedotti delle provincie di Padova, Verona e Vicenza, la seconda più grande d’Europa, arriva il momento di stabilire le responsabilità. In Corte d’Assise a Vicenza è iniziato il processo Miteni per avvelenamento delle acque, disastro doloso, inquinamento ambientale e bancarotta fraudolenta, che vede sul banco degli imputati 15 tra amministratori e proprietari della Miteni di Trissino (Vicenza).
Del tema ci siamo già occupati su queste colonne, intervistando il comitato Mamme NoPfas, nato nel 2017 a valle della scoperta dell’inquinamento da sostanze perfluoroalchiliche, famiglia di composti chimici usati prevalentemente dall’industria.
La minaccia dei Pfas per la salute
Dagli anni Cinquanta, i Pfas sono stati utilizzati soprattutto nella filiera di concia delle pelli, nel trattamento dei tappeti e nella produzione di carta e cartone per uso alimentare, per rivestire le padelle antiaderenti e nella produzione di abbigliamento tecnico, grazie alle loro caratteristiche di impermeabilizzazione. La loro resistenza ai processi di degradazione fa sì che persistano nell’ambiente e negli organismi viventi dove, in alte concentrazioni, interferiscono con il sistema endocrino, compromettendo crescita e fertilità, con il rischio di causare tumori. Se non smaltiti correttamente nell’ambiente, i Pfas penetrano facilmente nelle falde acquifere e da qui raggiungono i campi, contaminando i prodotti agricoli ed entrando nella catena alimentare.
Un processo che farà storia
Sono quasi 200 le parti civili, tra cui Ministeri, Regione Veneto, Province e Comuni, associazioni ambientaliste, ma soprattutto tanti cittadini che chiedono di fare luce sulle responsabilità, in quello che appare come il processo per crimini ambientali più importante svoltosi in Italia.
Dalla vicenda è stato ricavato un documentario intitolato “Il veleno nell’acqua” e andato in onda su Rai3. “E’ come se tuo figlio avesse, nel suo corpo, una bomba innescata. Tu non sai quando esplode questa bomba. Non sai quale organo andrà a colpire”, racconta tra gli altri Michela Piccoli, mamma veneta che da anni si batte per aiutare i figli colpiti dai veleni dei Pfas.
Il processo dovrà accertare responsabilità ed eventuali omissioni da parte delle autorità.
In particolare, l’associazione dei Medici per l’Ambiente denuncia il fatto che, per anni, le istituzioni abbiano ignorato gli appelli per uno screening sulla popolazione teso ad accertare i danni da Pfas. Solo nel 2017 la Regione Veneto si è decisa a farlo, limitatamente alle fasce di età 14-65 anni, escludendo donne in gravidanza, bambini e anziani, che costituiscono i soggetti più sensibili agli effetti nocivi degli interferenti endocrini. Inoltre, a distanza di otto anni, non sono ancora stati completati i nuovi acquedotti che dovrebbero portare acqua pulita nelle zone contaminate. I medici hanno rilevato un aumento nell’incidenza di patologie quali tumori del testicolo e del rene, ipercolesterolemia, colite ulcerosa, malattie tiroidee, nonché perdita di fertilità nei giovani, con riduzione del testosterone.
Il processo non sarà breve, dato che gli imputati annunciano faldoni di documenti in loro difesa. Quanto emergerà è destinato a fare storia, nel nostro Paese e non solo.