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Ecoremed, biorisanamento nella Terra dei fuochi

Terra dei fuochi
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Il progetto, che ha coinvolto diversi siti inclusi nel Litorale Domizio-Agro Aversano, impiega funghi e batteri per abbattere la tossicità e diverse specie di piante per assorbire i metalli che contaminano il suolo.

Bonificare i suoli agricoli degradati o contaminati con tecniche di bio e fitorisanamento che prevedono anche il recupero energetico dalle biomasse. È l’obiettivo di Ecoremed, progetto finanziato da fondi europei del programma Life e coordinato dal Centro Interdipartimentale Ricerca Ambientale dell’Università di Napoli Federico II. Ecoremed è stato selezionato su quattrocento progetti in totale tra i nove “best of the best”, che rappresentano l’eccellenza scientifica tra le iniziative comunitarie in tema di ambiente. Si tratta di una tecnica innovativa, che è stata applicata in via sperimentale su alcuni siti della Terra dei fuochi. Ovvero una vasta area tra la provincia di Napoli e quella di Caserta che, negli ultimi decenni, è stata oggetto di un sistematico smaltimento illegale di rifiuti e dove si è registrato un significativo aumento di tumori e malformazioni congenite, come certificato dall’Istituto superiore di sanità.

Piante per assorbire i metalli

Una speranza di rinascita arriva da questo progetto che, dopo una prima fase di caratterizzazione, ha impiegato batteri e funghi per stimolare la biodegradazione degli inquinanti organici e diverse specie di piante per assorbire i metalli che contaminano il suolo. Nelle aree contaminate sono stati piantati pioppi e salici, tamerici e canne da fosso, in grado di assorbire gli elementi estranei presenti nel terreno. Foglie, rami e fusto intrisi di contaminanti sono poi utilizzati come biomassa per la produzione di gas di sintesi o di biochar – un carbone che si ottiene dalla degradazione termica di diversi tipi di biomassa vegetale – negli impianti di pirogassificazione dell’Università di Napoli e dell’Istituto per la Combustione del Cnr. In questo modo è dunque possibile salvare il suolo e ricostruire il paesaggio, evitandone l’asportazione o la sigillatura, a un costo che è un ventesimo delle bonifiche tradizionali. Al progetto hanno collaborato un’ottantina di ricercatori delle più diverse discipline, dall’agronomia alla chimica alla medicina, in collaborazione con l’Assessorato regionale all’agricoltura, l’Arpac e la società di ricerca Risorsa.

I siti coinvolti

I siti pilota che hanno ospitato la sperimentazione sono quattro, situati rispettivamente a Trentola-Ducenta, in un’area pubblica di 4.500 metri quadri confinante con la discarica di Taverna del Re, con inquinamento organico e da metalli; a Teverola, in un fondo comunale di 3.000 metri quadri adibito a sito per lo stoccaggio temporaneo dei rifiuti urbani; a Giugliano, in una proprietà privata di 3.300 metri quadri di superficie agricola contaminata da inquinanti organici, zinco, rame; infine a Laghetti di Villa Literno in località Soglitelle, in un sito agricolo inserito in un’area salmastra destinata a parco naturalistico, oggetto in passato di estesi fenomeni di caccia abusiva, che hanno determinato un accumulo di piombo nel terreno.

Villa Literno

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Redazione

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