Due progetti dell’Università Statale di Milano dimostrano come un uso intelligente dell’irrigazione non solo permetta di ridurre la quantità di acqua impiegata, me anche di tutelare le colture dagli effetti della crisi climatica.
Per chi pensa che l’irrigazione serva solo a dissetare le piante, dall’Università degli Studi di Milano arrivano due progetti che dimostrano come un’irrigazione intelligente possa mitigare gli effetti della crisi climatica e, utilizzando le acque reflue dei depuratori, nutrire le colture. Se mai ce ne fosse stato bisogno, visti gli allarmi della comunità scientifica, questa estate ci ha dato un assaggio di un futuro prossimo e probabile, a meno di iniziative finalmente rapide ed efficaci contro le emissioni climalteranti: lunghi periodi di siccità intensa e ondate di calore alternati a piogge torrenziali. La crisi climatica, insomma, ha mostrato le sue carte. Sappiamo che oltre a ridurre le emissioni di CO2 e di tutti i gas climalteranti, dovremo necessariamente mettere in campo delle misure di adattamento per convivere con i cambiamenti in atto. I progetti della Statale ci parlano di questo.
L’irrigazione multifunzionale permette di usare meno acqua e con più obiettivi
Il progetto ADAM (ADAttamento al cambio climatico con irrigazione Multifunzionale per la viticoltura), cofinanziato da Regione Lombardia nell’ambito del “Bando per il finanziamento di progetti di ricerca in campo agricolo e forestale 2020 – 2021”, prevede la sperimentazione di un sistema di irrigazione multifunzionale presso alcuni vitigni di Chardonnay. “Abbiamo usato l’irrigazione non solo per la nutrizione idrica della pianta, ma anche per garantire una difesa dalle avversità termiche, sia le gelate primaverili che le ondate di calore” racconta Claudio Gandolfi, docente di Idraulica agraria e Sistemazioni idraulico-forestali della Statale, coordinatore del progetto. “Quando le temperature vanno sotto lo zero, se si spruzza acqua in modo dosato, sui tralci e intorno alle gemme si forma una piccola coltre di ghiaccio. Se questo ghiaccio viene mantenuto costantemente in formazione, con apporto di acqua continuo, la temperatura sulle parti interessate rimane a zero gradi, anche se la temperatura esterna scende sottozero”. Nel passaggio dallo stato liquido a quello solido, infatti, l’acqua cede calore e mantiene la temperatura stabile. Viceversa, durante le ondate di calore l’acqua evapora ed evaporando assorbe calore, quindi raffresca la pianta. La vera novità del progetto consiste nell’applicazione di questa metodologia ai vitigni, con l’impiego di nebulizzatori molto economici che lavorano sotto chioma. E poi la combinazione con interventi di irrigazione “intelligente”. “La sensoristica in campo – prosegue Gandolfi – misura il contenuto idrico del suolo e consente una gestione totalmente automatizzata, garantendo la produzione e la qualità delle uve in funzione dell’obiettivo enologico prefissato”. Il sistema di irrigazione a goccia automatizzato, associato a quello climatizzante tramite gli spruzzatori, permette una gestione efficiente della risorsa idrica, utilizzando meno acqua e per più funzioni: non solo per dissetare le piante, ma anche per proteggerle dagli eccessi termici estivi e dalle gelate tardive, incrementando la resa e la qualità delle uve ottenute.
Grazie alla digitalizzazione, le acque reflue depurate possono essere ad uso irriguo ed efficiente
Altra esperienza sull’uso intelligente dell’acqua è Digital Water City (DWC), progetto Horizon 2020 a cui la Statale partecipa con altri enti di cinque capitali europee (Berlino, Parigi, Copenaghen, Sofia) e il coinvolgimento diretto dei gestori del servizio idrico locale (CAP holding per Milano). Il progetto prevede l’utilizzo irriguo di acque reflue provenienti dal depuratore di Peschiera Borromeo, situato a sud di Milano. Anche in questo caso a fare la differenza è l’apporto della tecnologia e della digitalizzazione. “Grazie a sistemi di monitoraggio con telerilevamento e droni per capire quando è il miglior momento per irrigare, l’intera filiera viene digitalizzata e monitorata attraverso una app – per agricoltori, gestori dell’impianto e consorzio d’irrigazione – che permette di avere informazioni su qualità e quantità di acqua disponibile” spiega Gian Battista Bischetti, docente di Idraulica agraria e Sistemazioni idraulico-forestali alla Statale e Direttore del Dipartimento di Scienze agrarie e ambientali. Obiettivo del progetto, in cui l’interpretazione delle immagini ottenute da droni e satelliti è realizzata in collaborazione con l’Università politecnica delle Marche, è quello di utilizzare tecniche digitali per migliorare la gestione dell’acqua, soprattutto in ambito periurbano. “Grazie a satelliti e droni – prosegue il professor Bischetti – possiamo conoscere gli indici di stress idrico delle piante e usare in modo efficiente l’acqua, anche quella che viene dalla depurazione”. E visti i costi energetici legati alla depurazione, un uso più oculato permette di rendere più efficiente l’impiego di acqua e ridurre il consumo di energia. “Il sistema digitale che abbiamo creato consente di gestire l’acqua reflua in tempo reale in base a informazioni satellitari e informazioni rilevate da sensori posti nel terreno, relative al bisogno effettivo di acqua delle colture, sia alla quantità e qualità delle acque in uscita dal depuratore. Grazie a un sensore innovativo, infatti, viene misurata in continuo la qualità chimico-fisica e la carica batterica dell’acqua in uscita dal depuratore”. Tutta la filiera è digitalizzata: dalla rete fognaria fino al campo. “In prospettiva – aggiunge Bischetti – con le tecniche proposte dal progetto si potrebbero irrigare oltre 2.000 ettari con acque riciclate (pari a circa 3.000 campi da calcio): tutta acqua che attualmente viene scaricata nel Lambro e, solo in parte, eventualmente riutilizzata in seguito, ma in modo meno efficiente e controllato”. Ma si potrebbe anche andare oltre questo risultato. “Dalle immagini satellitari – spiega Gandolfi – si potrebbero evidenziare, dopo opportuna verifica a livello tecnologico, eventuali carenze di nutrienti nei campi. E siccome già oggi le acque reflue depurate integrano la fertilizzazione, nella stagione irrigua si potrebbe pensare, relativamente ai livelli di azoto e fosforo, a trattamenti meno spinti negli impianti di depurazione, per soddisfare i fabbisogni di nutrienti delle colture. Questo permetterebbe di non fare ricorso all’apporto di fertilizzanti commerciali, con ricadute positive anche in termini di consumi energetici e emissioni connesse sia alla depurazione, che alla produzione dei fertilizzanti”.