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Nell’Atlante dei dati ambientali di Ispra tutti gli ecosistemi da risanare

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L’Atlante 2024 dei dati ambientali di Ispra offre una mappatura degli ecosistemi e delle aree urbane che risponde ai criteri della Nature Restoration Law, utile a supportare il percorso del governo nella redazione del Piano nazionale di ripristino degli habitat degradati secondo il format fissato dalla Ue. Ma anche cartine aggiornate della temperatura media annuale, delle precipitazioni e delle aree a rischio allagamento per inquadrare tutte le sfide da affrontare.

Aiutare a prendere coscienza delle sfide ambientali che ci attendono e contribuire al raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile e di ripristino degli ecosistemi degradati: è l’obiettivo di fondo dell’Atlante dei dati ambientali curato dall’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra). Che ci fornisce informazioni aggiornate sul suolo, l’acqua, la biodiversità, l’aria, il clima, i rifiuti, l’energia e gli impatti ambientali delle attività umane, con cartine, grafici, tabelle e testi che riportando dati certificati dal Sistema Informativo Nazionale Ambientale (Sina) curato dall’Ispra e dal Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente (Snpa). Geosferaidrosfera, biosfera, atmosfera, cambiamenti climaticiantroposfera sono le sei sezioni tematiche dell’ultima edizione, ognuna con un QR code con cui collegarsi alle mappe dell’EcoAtlante, il portale interattivo.

Una carta delle aree urbane secondo i criteri della Nature Restoration Law

Tra le ultime carte messe a punto dall’Ispra, nella sezione antroposfera, c’è quella delle aree urbane secondo la definizione della Nature Restoration Law, il regolamento europeo sul ripristino della natura entrato in vigore il 18 agosto 2024. In base al regolamento, tutti gli Stati membri dell’Unione europea devono assicurare il ripristino di almeno il 20% delle aree degradate terrestri e marine entro il 2030 ed entro il 2050 di tutti gli ecosistemi degradati.

Inoltre, il regolamento richiede che non ci sia nessuna perdita netta di spazi verdi e di copertura arborea nelle aree urbane fino al 2030 e un costante aumento della loro superficie totale a partire dal 2031. La carta delle aree urbane ci dice che le aree densamente urbanizzate, in Italia occupano il 3,6% del territorio nazionale, i centri rurali e le aree suburbane superano il 7% mentre le aree rurali occupano circa l’89% del territorio, di cui quasi un quarto con presenza di coperture artificiali diffuse.

Entro il 1 settembre 2026 la consegna del Piano di recupero degli habitat degradati

La Nature Restoration Law fissa per tutti gli Stati dell’Ue precisi obblighi di recupero degli ecosistemi deteriorati. Per la sua attuazione, il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica deve predisporre entro il primo settembre 2026 il primo Piano nazionale di ripristino, che conterrà le azioni da intraprendere fino a giugno 2032. Ogni Stato, infatti, deve elaborare un Piano nazionale di ripristino ed effettuare il monitoraggio e le ricerche preliminari opportuni per individuare le misure necessarie per conseguire gli obiettivi imposti dal regolamento per i vari habitat.

Lo scopo è arrivare al 2050 con almeno il 90% degli habitat recuperati. Da gennaio 2025 è disponibile lo schema di regolamento elaborato dalla Commissione che definisce il format per redigere i Piani nazionali di ripristino. La pianificazione copre tutto l’arco temporale fino al 2050 e sarà rivista e aggiustata dagli Stati nel 2032 e nel 2042 a seconda dello stato di avanzamento delle misure previste. Fondamentale, secondo il ministro dell’Ambiente, Gilberto Pichetto Fratin, “la definizione partecipata delle azioni del Piano nazionale con tutti i soggetti e le categorie interessate, per tarare al meglio le modalità di raggiungimento dei target”. “Lo schema del Piano dovrà essere sottoposto a Valutazione Ambientale Strategica, dove sarà prevista una fase di consultazione e partecipazione pubblica che garantirà il coinvolgimento di tutti i soggetti interessati”, ha spiegato il ministro. 

Atlante di Ispra: in Italia 40% delle aree urbane da ripristinare

La carta delle aree urbane dell’Atlante ambientale mette inoltre in evidenza – e questo è il punto per il monitoraggio degli obiettivi fissati dalla legge sul ripristino della natura – come, in accordo con i criteri forniti dalla metodologia Eurostat, il 28,6% dei comuni italiani risulti classificato come “grandi centri urbani, “nuclei urbani densi” o “nuclei urbani semi-densi”. Le amministrazioni, cioè, obbligate a ripristinare le proprie aree urbane a partire dal 2031. E si arriva al 40,2% aggiungendo i comuni periurbani (11,6% del totale). Si legge, infatti, nell’Atlante che “i fenomeni di urbanizzazione avvengono con sempre maggiore intensità ai margini della città consolidata, complicando la definizione di un criterio univoco per la delimitazione delle diverse tipologie di tessuto urbano”. Inoltre viene precisato che “i processi di urbanizzazione sono tra le principali cause dell’aumento di degrado dell’ambiente e della biodiversità e dell’incremento del grado di frammentazione delle aree naturali”.

Oltre 40% degli ecosistemi naturali italiani soffre di frammentazione

Interventi di ripristino dovranno essere fatti anche in ambiti diversi dagli ecosistemi urbani, come quelli agricoli, forestali, costieri, marini e fluviali. Per il ripristino degli ecosistemi agricoli, gli obblighi sanciti nella Nature Restoration Law sono orientati prevalentemente alla protezione della biodiversità, alla fornitura di servizi ecosistemici, con particolare riferimento allo stoccaggio di carbonio organico, alla conservazione degli elementi ad elevata diversità paesaggistica e al contributo alla piantumazione di almeno 3 miliardi di alberi sul territorio dell’Unione entro i primi 6 anni dall’approvazione del regolamento. Allo stato attuale, secondo l’Atlante dei dati ambientali di Ispra, il 23,3% degli ecosistemi italiani risentono di una frammentazione elevata, mentre quasi un quinto (17,5%) è a frammentazione molto elevata.

Tra le carte dell’Atlante Ispra anche aree allagabili e piani d’azione per energia e clima

Tra le diverse carte presenti nell’Atlante 2024, oltre a quella della temperatura media annuale dell’anno 2023, quella dell’anomalia della precipitazione cumulata annuale dell’anno 2023 rispetto al trentennio di riferimento 1991-2020 basata sulle elaborazioni del modello di bilancio idrologico BIGBANG e quella delle principali strategie di adattamento locali e regionali e dei Piani di Azione per l’Energia Sostenibile e il Clima, figura anche la carta delle aree potenzialmente allagabili per i diversi scenari di probabilità.

Su scala nazionale, si stima che ricadano in aree potenzialmente inondabili, per uno scenario medio di pericolosità (P2), l’11,8% delle famiglie, il 13,4 % di imprese e il 16,5% di beni culturali, con conseguente impatto economico e sociale. La progressiva impermeabilizzazione del suolo e la riduzione delle superfici di espansione delle piene acuiscono le conseguenze dei fenomeni alluvionali. Il consumo di suolo continua, infatti, a crescere, con una progressiva diminuzione della superficie destinata all’uso agricolo, perdita di biodiversità e aumento del degrado del suolo, con conseguenze che devono essere affrontate attraverso incisive azioni di ripristino.

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