Frazionamento di competenze, scarso dialogo tra i soggetti pubblici coinvolti e mancanza di una visione che integri progetti di risanamento e di sviluppo territoriale sono, secondo la Commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti, i principali ostacoli alla buona riuscita delle bonifiche a Taranto.
Ci sono criticità nella valutazione e nell’esecuzione degli interventi di bonifica e di messa in sicurezza dei siti contaminati, ma anche nella definizione di valori e obiettivi di bonifica. È il giudizio della Commissione parlamentare d’inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlati (Commissione Ecomafie) sulla situazione delle bonifiche nel Sito di interesse nazionale di Taranto, espresso in una Relazione approvata a metà settembre. Problemi che investono anche le opere accessorie, come ad esempio la rimozione di rifiuti e strutture obsolete dal Mar Piccolo, la bonifica delle aree a verde del quartiere Tamburi, la filtrazione dell’aria delle scuole nello stesso quartiere.
Il Sito di interesse nazionale di Taranto
La zona industriale e produttiva di Taranto è una vasta area pianeggiante in cui si concentrano oltre 200 imprese, alcune delle quali ad alto impatto ambientale come il grande polo siderurgico dell’ex Ilva (oggi Acciaierie d’ltalia), la raffineria Eni, l’industria cementiera Cementir, l’arsenale e una base navale militare tra le più grandi del Mediterraneo. Taranto è tra le aree ad elevato rischio ambientale e tra i Siti di interesse nazionale per le bonifiche. La superficie interessata dal Sin, perimetrato con Decreto del Ministero dell’Ambiente del 10 gennaio 2000, è di circa 125 kmq, 73 dei quali di area marina, per uno sviluppo costiero di 17 km. Per fronteggiare le criticità ambientali e sanitarie e assicurare l’attuazione degli interventi di bonifica nel 2012 è stato nominato dal Governo un Commissario straordinario, il cui operato avrebbe dovuto incardinare gli interventi di bonifica in un percorso di crescita e sviluppo del territorio, nel quadro del Contratto istituzionale di sviluppo (Cis) sottoscritto nel 2015. Un accordo che ha messo in moto 40 interventi, per una cifra di 1 miliardo di euro.
Gli ostacoli alla riuscita delle bonifiche
La Commissione Ecomafie denuncia che il frazionamento delle competenze, la mancanza di una visione di insieme e la difficoltà di dialogo tra i soggetti pubblici coinvolti rappresentano un ostacolo quasi insormontabile alla riuscita delle bonifiche a Taranto, sia sotto il profilo della tempistica che della qualità ed efficacia degli interventi. “La Commissione – si legge nella Relazione – non ha rilevato alcun dialogo o rapporto funzionale tra le attività di chi ha in carico la realizzazione delle bonifiche delle discariche nelle aree escluse (che non rientrano nel perimetro del Sin), che per altro lavora in base ad un programma ferreo, e le attività del Commissario Straordinario per la bonifica, ambientalizzazione e riqualificazione dell’area di Taranto, che dovrebbe essere assoggettato a forme di coordinamento da parte del Tavolo interistituzionale permanente del Cis”. La vicenda non è di poco conto, visto anche il passaggio di consegne tra Commissari Straordinari. E altrettanta mancanza di coordinamento viene denunciata in merito alle attività di risanamento dello stabilimento produttivo dell’ex Ilva, tra Commissario straordinario e azienda.
Le principali criticità ambientali
La Relazione della Commissione fornisce un quadro della situazione dell’inquinamento in atto e della sua dinamica, identificando due criticità principali. La prima è rappresentata dall’inquinamento del sottosuolo e della falda generata dalle discariche e dagli sversamenti degli impianti produttivi. “Il Mar Piccolo – si legge nel documento della Commissione – è stato studiato come recettore delle diverse fonti di inquinamento presenti nell’area con una dinamica legata agli apporti dei corpi idrici superficiali, di quelli sotterranei e del mare, estremamente complessa. Si è lavorato per la rimozione di parte delle sorgenti di inquinamento, come gli scarichi diretti. Per quanto concerne altre potenziali sorgenti, come le discariche prive delle idonee protezioni, le attività di bonifica sono in corso o sono ancora in fase di progetto: la più tempestiva realizzazione delle opere è indispensabile per offrire la garanzia che esse non rappresentino perduranti forme residue di contaminazione”. La seconda emergenza riguarda l’immissione in atmosfera degli inquinanti provenienti dall’impianto siderurgico, per cui la Corte europea dei diritti dell’uomo nel 2019 ha condannato l’Italia per il ritardo nell’affrontare la grave situazione di inquinamento e l’Onu ha definito Taranto una zona di sacrificio. La Commissione Ecomafie ha ammesso però di non aver avuto modo di condurre approfondimenti sulla base della ingente massa di dati disponibili nell’Osservatorio Ilva o messi a disposizione da Ispra e Arpa Puglia. Anche sulle opere a mare gestite a livello finanziario dal Commissario Straordinario la Commissione ha qualcosa da ridire, sottolineando che “non possono essere trascurate le forti criticità constatate dalla Commissione relativamente alla realizzazione della cassa di colmata in prossimità del 5° sporgente del porto di Taranto, con una rilevante controversia tra l’impresa che realizza le opere ed il suo collaudatore, che dovrà, ad avviso della Commissione, formalizzare le sue osservazioni sulla scarsa qualità delle opere sin qui realizzate”. Il giudizio finale contenuto nella Relazione è quello di “notevole frazionamento delle competenze e dei procedimenti, anche su porzioni territoriali prossime tra di loro e caratterizzate dallo stesso problema. La situazione, in un’area caratterizzata dalla presenza di un grande, articolato ma unico centro di rischio ambientale, ha finito per produrre complicazioni, difficoltà di colloquio, diseconomie e disomogeneità procedimentali che di fatto ostacolano il buon andamento sostanziale delle attività di risanamento dell’area”.