La blue economy promuove la crescita economica basandosi sulla conservazione degli ecosistemi marini, oltre che sulla sostenibilità ambientale. Il concetto è stato proposto inizialmente dell’economista belga Gunter Pauli. Tutto parte dall’analisi del fatto che i mari e gli oceani ricoprano più del 70% della superficie del pianeta. È perciò necessario comprendere a fondo i biomi blu, per poterli conservare.
La vita negli oceani è in forte declino, ovunque nel mondo. Ciò è dovuto a pesca eccessiva, distruzione degli habitat e, naturalmente, cambiamenti climatici. Eppure soltanto il 7% dell’oceano è, attualmente, protetto in maniera ufficiale. Questo paradigma va cambiato. Gli spazi acquatici sono motori di crescita e innovazione, capaci di mettere in moto uno sviluppo economico sostenibile e redditizio. Il concetto di blue economy si basa sull’imitazione della natura e del suo funzionamento. Lo scopo è la riconversione dei rifiuti in materiali efficienti e la via da seguire è la sequela dei principi di economia circolare.
I principi della blue economy
Il principio fondamentale della blue economy è la riconversione delle nostre abitudini. Questo approccio si pone come non tradizionale allo sviluppo economico e punta sull’imprenditorialità sostenibile e l’innovazione. I fondamenti di questa visione si basano sulle leggi della fisica, sull’idea di fare di più con meno, combinare ricchezza e diversità, considerare i rifiuti come una risorsa nonché generare e rispettare una simbiosi dell’intero sistema a livello globale.
Pertanto, in un mondo governato dall’economia lineare, che ci avvicina al punto di non ritorno nel degrado del pianeta, a causa dello sfruttamento massiccio delle risorse naturali e della produzione di rifiuti, l’equilibrio ecologico diventa l’unica via possibile per invertire il cambiamento climatico. Intendendo i rifiuti come risorsa, ricorrendo all’eco-design e trattando l’ambiente sempre con il rispetto che merita, si può sviluppare un modello basato su innovazioni a basso costo, capaci di generare occupazione e profitti attraverso la sostenibilità.
Economia verde ed economia blu
Generalmente, qualunque cosa ascoltiamo riguardo a sostenibilità e protezione ambientale è legata alla green economy. Tuttavia, nel suo libro intitolato Blue Economy, Gunter Pauli critica l’economia verde, ritenendola un sistema di produzione in realtà proibitivo. Spiega infatti come causi un aumento di costi di produzione i quali, a loro volta, portano a una maggiorazione dei prezzi per il consumatore.
La blue economy tiene in considerazione questo possibile rischio ma, al contrario, mira a essere accessibile per tutti. Copiando la natura, sempre estremamente efficiente nei suoi processi, sfrutta al massimo l’energia e i materiali. In questo modo, i prezzi si riducono. L’economia verde richiede che gli imprenditori investano di più e i consumatori paghino di conseguenza, in nome della preservazione dell’ambiente. La blue economy considera i rifiuti una risorsa e cerca altre soluzioni, ispirate al design degli ecosistemi naturali.
Sebbene l’economia verde insegua la sostenibilità, a causa della progettazione delle sue operazioni, resta inefficiente nel suo obiettivo. È poco redditizio, sia per gli imprenditori sia per i consumatori, produrre un grande sforzo economico al fine di realizzare prodotti ecologici. La blue economy si concentra sulle innovazioni a basso costo. Queste creano posti di lavoro, generano profitti ed espandono il capitale economico. Il suo approccio affronta questioni come:
- produzione di merci;
- gestione dei rifiuti;
- sviluppo sostenibile;
- agricoltura nel suo complesso.
Blue economy, vantaggi e svantaggi
La blue economy si serve di prodotti disponibili localmente, rifuggendo l’importazione. Inevitabilmente, necessita e richiede un grande rispetto per le risorse naturali. Questo tipo di economia mette al centro le culture locali, oltre che le tradizioni delle diverse aree geografiche. Qui si riscontra una prima, importante, differenza rispetto all’economia lineare, la quale è invece altamente globalizzata.
L’attuale modello economico si basa sulla scarsità. Questa è l’ingrediente chiave che produce e stimola il consumo. Al contrario, la blue economy è orientata al soddisfacimento dei bisogni primari, non alla sovrapproduzione. Così facendo è possibile ridurre, se non proprio eliminare, i rifiuti e abbassare i livelli di produzione dell’inquinamento ambientale. Ispirarsi alla natura significa creare benefici non solo economici, bensì anche sociali ed ecologici. È un’economia inclusiva. Genera nuove opportunità di lavoro e contribuisce allo sviluppo delle società, creando una coscienza ecologica. Come la natura, cerca il meglio per ogni soggetto coinvolto nel sistema.
Utilizzare bene tutte le risorse disponibili è un modo per farle durare a lungo, garantendo la felicità del consumatore, ancora troppo immerso nella realtà consumistica lineare. Nel mondo di oggi, come sappiamo, non c’è ancora la maturità di ragionare in termini ambientali: i benefici economici vengono prima di ogni altra cosa. Per tal ragione, la blue economy presenta una serie di svantaggi.
Il fatto che si concentri per lo più sul potenziamento del territorio non va di pari passo con i ritmi del mondo altamente globalizzato e iperconnesso in cui viviamo. La natura diversificata non incoraggia il monopolio. Questo rappresenta uno svantaggio per le grandi multinazionali. La blue economy richiede il coinvolgimento, attivo, di tutti gli attori del processo economico. In questo modello, i consumatori non recitano solo un ruolo passivo, ma devono mettersi in moto. Al fine di applicarne i principi sono necessari istruzione e apprendimento a tutti i livelli.
Stiamo parlando di una nuova formazione, a livello aziendale. A promuoverla non devono però essere soltanto gli imprenditori, ma anche i governi e la comunità, più in generale. Ovviamente, ciò comporta costi e questioni logistiche.