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Depurazione acque reflue urbane: un problema ambientale ma anche economico per l’Italia

depurazione acque reflue
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L’inefficienza della rete idrica è fin qui costata all’Italia quattro procedure di infrazione. Un conto destinato a salire senza una rapida inversione di tendenza.

La data cerchiata in rosso è il 26 giugno 2023. Dal giorno successivo, l’Italia sarà passibile di sanzioni se non recepirà la Direttiva europea che obbliga a depurare tutte le acque reflue urbane e a riutilizzarle in agricoltura. La misura legislativa comunitaria risale a due anni fa, ma in questo periodo l’Italia ha fatto orecchie da mercante, né il tema è stato minimamente sfiorato nel corso dell’ultima campagna elettorale. Eppure, l’emergenza siccità che stiamo vivendo avrebbe dovuto sensibilizzare istituzioni e burocrazia sull’importanza di avviare progetti di economia circolare in grado di minimizzare il consumo della materia prima per eccellenza. 

Cosa sono le acque reflue?

Le acque reflue sono le acque che, dopo l’utilizzo, vengono scaricate nella rete fognaria o in altri sistemi di trattamento. Le acque reflue possono essere di diversi tipi, a seconda della loro provenienza:

  • acque reflue domestiche, prodotte dalle attività di cucina, lavaggio e igiene personale;
  • acque reflue industriali, prodotte dalle attività produttive;
  • acque reflue di altro tipo, come ad esempio quelle provenienti da attività agricole, da piscine o da altre attività. 

 

In Italia solo il 56% delle acque reflue urbane viene trattato

Secondo le analisi realizzate dalla struttura commissariale per la depurazione che fa capo al Ministero per la Transizione ecologica, per ottenere miglioramenti concreti in tema di depurazione delle acque occorrono risorse per non meno di 3,6 miliardi di euro. Questo perché è necessario non solo intervenire sul fronte della manutenzione, ma anche realizzare ex-novo gli impianti, dato che molte aree sono scoperte. Il problema riguarda soprattutto Campania, Sicilia e Calabria, dove alcuni Comuni gestiscono ancora il settore idrico “in economia”, ovvero senza una società ad hoc, bensì attraverso gli uffici comunali, che spesso sono carenti delle competenze necessarie. Addirittura, in alcuni casi non sono stati ancora costituiti gli Ato, i bacini di ambito ottimali in cui dovrebbe esserci una sola società di gestione per migliorare le economie di scala. Le Regioni più virtuose sono, invece, Piemonte, Emilia-Romagna, Lombardia, Veneto, che insieme contano circa la metà dei 18mila impianti di depurazione censiti nell’intera Penisola. La struttura commissariale ha stilato una lista di 740 depuratori necessari per raggiungere livelli di efficienza in quello che è un ambito cruciale per promuovere l’economia circolare. A differenza di Paesi come Austria, Germania, Lussemburgo e Paesi Bassi, che da tempo hanno raggiunto il 100% di acque reflue trattate secondo gli standard comunitari, l’Italia si ferma al 56%. Si tratta di una delle peggiori performance tra gli Stati membri, in linea con Romania, Bulgaria e Slovenia.

Cosa è il trattamento delle acque reflue?

Le acque reflue devono essere trattate prima di essere scaricate nell’ambiente, in modo da rimuovere i contaminanti e gli elementi indesiderati presenti al loro interno. Il trattamento delle acque reflue può avvenire attraverso diverse tecnologie, come ad esempio la sedimentazione, la filtrazione, la disinfezione e altre operazioni che mirano a purificare l’acqua e renderla di nuovo utilizzabile. Il trattamento delle acque reflue è una funzione importante per la protezione dell’ambiente e per la sostenibilità delle attività umane. Le acque reflue, infatti, possono causare inquinamento e danni all’ecosistema se non vengono adeguatamente trattate e gestite. Il processo di trattamento delle acque reflue varia a seconda del tipo di acqua reflua da trattare e delle normative ambientali applicabili, ma le fasi di trattamento più comuni sono:

  1. pre-trattamento: consiste in una prima fase di pulizia delle acque reflue, durante la quale vengono rimossi i grossi detriti e gli oggetti solidi presenti nell’acqua, come ad esempio i fazzoletti di carta, le fette di pane o i capelli;
  2. trattamento primario (sedimentazione): consiste in una seconda fase di pulizia delle acque reflue, durante la quale vengono rimossi gli elementi in sospensione e quelli che si depositano facilmente a causa della loro densità. Questa fase prevede l’utilizzo di appositi serbatoi, detti decantatori, dove l’acqua viene lasciata riposare in modo che gli elementi più pesanti possano sedimentare;
  3. trattamento secondario (filtrazione): consiste in una terza fase di trattamento delle acque reflue, durante la quale vengono rimossi i contaminanti organici presenti nell’acqua. Questa fase può avvenire attraverso diverse tecnologie, come ad esempio la filtrazione biologica, durante la quale l’acqua viene fatta passare attraverso un letto di materiale organico, come ad esempio il fango, dove vengono assorbiti i contaminanti;
  4. trattamento terziario: consiste in una quarta fase di trattamento delle acque reflue, durante la quale vengono rimossi i contaminanti chimici presenti nell’acqua. In questa fase possono essere utilizzate diverse tecnologie, come ad esempio la filtrazione chimica, durante la quale l’acqua viene fatta passare attraverso appositi filtri che assorbono i contaminanti chimici;
  5. trattamento finale (disinfezione): consiste in una quinta fase di trattamento delle acque reflue, durante la quale vengono eliminati i patogeni presenti nell’acqua, ad esempio attraverso la clorazione, che impiega il cloro per uccidere i batteri e altri patogeni. Ma non è l’unica tecnica utilizzata.

Una volta che le acque reflue hanno completato il processo di trattamento, possono essere scaricate nell’ambiente o riutilizzate per scopi diversi, come ad esempio l’irrigazione di colture o il raffreddamento degli impianti industriali. 

Servono maggiori investimenti per adeguare il sistema idrico e trattare correttamente le acque reflue

A metà settembre, la Commissione europea ha pubblicato il terzo riesame relativo all’attuazione delle politiche ambientali, strumento ideato per monitorare e far conoscere lo stato di avanzamento dell’applicazione del diritto ambientale comunitario da parte degli Stati membri. Per quanto riguarda la gestione delle risorse idriche italiane, Bruxelles ha registrato “progressi limitati nella riduzione del numero di agglomerati non conformi alla direttiva sul trattamento delle acque reflue urbane, con la conseguente imposizione di sanzioni pecuniarie da parte della Corte di giustizia dell’Unione europea”. Secondo la Commissione “per progredire, sono necessari più investimenti”. Molte speranze sono riposte nel Pnrr, che a questo capitolo destina 600 milioni di euro; una somma non ancora sufficiente, ma quanto meno aiuterebbe ad affrontare le maggiori criticità. Ma non è solo una questione di denaro. Alcune infrastrutture, per le quali sono da tempo stati individuati fondi comunitari dai quali attingere, restano bloccate per problemi burocratici e la difficoltà di redigere una pianificazione finanziaria in linea con le regole comunitarie. Secondo un’analisi di Water Alliance, organizzazione che riunisce tredici aziende pubbliche del servizio idrico integrato in Lombardia, la principale criticità in Italia riguarda gli iter autorizzativi, che per le grandi opere infrastrutturali del settore idrico sono all’incirca doppi rispetto ad altri contesti. A incidere negativamente sull’efficienza della depurazione sono anche gli scarichi abusivi, con depuratori che lasciano andare acque reflue non trattate, con conseguenti aree inquinate e coste non balneabili. Nelle tre regioni del Sud già citate, la struttura commissariale conta 342 Comuni senza servizio di depurazione e proprio in queste aree dovrebbero concentrarsi gli interventi del Piano nazionale di ripresa e resilienza. Senza una svolta rapida, rischiamo una nuova procedura per infrazione delle norme comunitarie, che si aggiungerebbe alle quattro già aperte. Con la beffa di nuove sanzioni economiche per un problema legato soprattutto alla carenza del denaro necessario per adeguarsi alle regole di Bruxelles.

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