Il nome plasmix indica l’insieme degli elementi di scarto prodotti dal processo di riciclo della plastica. Questo agglomerato di sostanze, non riutilizzabile nel corso della trasformazione del polimero, può diventare un combustibile alternativo. Ne fanno uso i cementifici ed è stato ribattezzato combustibile solido secondario, o CSS. Dal momento che non tutta la plastica può essere riciclata, si è pensato di utilizzare anche la sua frazione di scarto. Questi rifiuti hanno infatti un grande potenziale, dal momento che possono essere trasformati in un combustibile alternativo a quello fossile.
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Produzione e utilizzo del plasmix
Con il termine plasmix si definiscono tutti quegli scarti derivanti dalla raccolta differenziata della plastica. All’interno di questo insieme finiscono innanzitutto, e principalmente, gli errori del cittadino. Come dovremmo tutti sapere, all’interno della raccolta della plastica andrebbero conferiti solamente gli imballaggi. Oltre alle sviste, nel plasmix finiscono anche tutte le plastiche che sono effettivamente imballaggi, ma non riciclabili. È il caso delle buste del caffé che, in molti casi, sono composte da poliaccoppiato, ovvero più tipi di plastica fusi assieme, i quali non possono essere separati neppure dalle potenti macchine addette al riciclo.
Come si gestisce il plasmix presso l’impianto di riciclo
Una volta raccolto e arrivato all’impianto, il plasmix passa innanzitutto nel trituratore. Questo dispositivo lo riduce di granulometria prima di deferrizzarlo. Rimuove cioè tutti gli eventuali frammenti di metalli ferrosi. Dalla massa degli scarti vengono in seguito separati anche materiali estranei come metalli non ferrosi e/o plastiche clorurate (PVC), tramite due tipologie di separatori. Questi si chiamano aeraulico, se agisce sui metalli, e ottico, se invece si occupa del materiale plastico. In entrambi i casi, tutto quel che va rimosso si separa dalla restante plastica vera e propria, sfruttando getti di aria compressa.
Il plasmix, dopo aver subito questo processo di separazione e riduzione, si rimacina. È soltanto a questo punto che può diventare davvero CSS. Esistono diverse qualità di combustibile solido secondario. Quella migliore è denominata End of Waste e possiede un nome quantomeno profetico. Si tratta di un materiale che, per legge, non è più da considerare rifiuto. La normativa lo considera un combustibile a tutti gli effetti. Il potere calorifico del CSS è del tutto simile a quello del petcoke. Quest’ultimo è un combustibile di origine fossile usato solitamente nei cementifici. Il suo impatto ambientale è decisamente inferiore a quello dei carburanti che conosciamo.
Una trasformazione nel segno dell’ecologia
Altra peculiarità non sottovalutabile del plasmix è il fatto che si tratta di un materiale ritrasformabile. Derivando dalla plastica, una sostanza che, com’è noto, si costituisce di polimeri, dunque molecole con una catena molto lunga, essa può essere risuddivisa e trasformata in parti ancor più piccole e semplici. Da questo procedimento deriva il gas di sintesi, anche noto come syngas, una sostanza da cui è possibile ottenere nuova materia. Il rifiuto plastico che diviene plasmix contiene al suo interno un elevato potenziale, perché derivante da materie prime comunque nobili. Grazie al processo di riciclo della plastica, può rientrare nel ciclo di produzione sotto un’altra forma, dando vita a un nuovo prodotto.
Dal syngas si possono sintetizzare diverse sostanze. È una materia prima che ne origina di secondarie i cui scopi sono molteplici: dall’ecocarburante alla trasformazione nell’industria chimica fino alla produzione di nuova plastica, attuando così una vera chiusura del cerchio del polimero. Gli impianti di ultima generazione consentono il riciclo della plastica minimizzando lo scarto rispetto a processi similari, ma meno avanzati.
Il gas sintetico
La parola syngas, traducibile in italiano come gas sintetico, nasce dalla fusione di due termini inglesi: synthetic e gas. Si tratta di una miscela di gas dall’importante potenziale energetico. Ciò si deve alla presenza di due composti principali: idrogeno e monossido di carbonio. Questa può derivare da diversi processi, generalmente figli della gassificazione del plasmix. Una volta completata la trasformazione del combustibile solido secondario in una miscela gassosa, si attua la fase di sintesi. A questo punto è possibile progredire nella trasformazione, dando avvio alla produzione di nuovi prodotti.
Plasmix ed economia circolare
Attualmente, le opzioni di riciclaggio del plasmix sono piuttosto limitate. Questo materiale viene generalmente avviato a recupero energetico e, in parte residuale, ancora conferito in discarica. Si tratta di una prassi provvisoria, dal momento che sono in via di sviluppo tecnologie molto specifiche nel riciclo chimico della plastica che consentono di trasformare il plasmix in nuovi materiali, utilizzabili come base per la sintesi di numerosi composti grazie allo sfruttamento del syngas. Alternativamente, si pensa di sfruttare questo materiale di scarto come vettore ad altissimo contenuto energetico.
L’inquinamento da plastica è una vera e propria piaga del nostro tempo. Riuscire a riutilizzarne la maggior percentuale possibile è un obiettivo virtuoso, che potrebbe fornirci un’arma ben affilata in più per difenderci da questo polimero tanto pratico quanto impattante e nocivo per l’ecosistema in cui viviamo.
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