Al largo dell’Arcipelago Toscano, lontana dagli occhi e dalle attenzioni dei più, sorge una vera e propria isola di plastica. Ad alimentarla pensano principalmente i fiumi: Arno, Tevere e Sarno portano in mare i rifiuti raccolti durante il loro percorso. Questi scarti confluiscono tutti in questa zona e qui si fermano, dando origine all’agglomerato. Tale isola funge da riprova di quale minaccia rappresenti l’inquinamento da plastica nei mari e negli oceani. Si stima vi siano 8 milioni di tonnellate di rifiuti in acqua, in tutto il mondo. In gran parte, si tratta composti del polimero di cui stiamo scrivendo, alla deriva. Queste aree specifiche, nelle quali convergono chili su chili di spazzatura, sono state ribattezzate isole di plastica.
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Come si è formata l’isola di plastica italiana?
I dati relativi al nostro Paese, per quel che concerne la plastica, non sono incoraggianti. L’Italia occupa il secondo posto in Europa per la presenza del composto all’interno degli specchi idrici, con una percentuale di microplastiche del 7%. Il dato, naturalmente, evidenzia quanto serio sia il pericolo posto agli equilibri naturali. La sopravvivenza di 700 specie che chiamano l’ecosistema marino casa è a rischio, per intrappolamento, ingestione, soffocamento e/o rilascio di sostanze chimiche tossiche nel loro ambiente di vita.
Da una ricerca portata avanti in seguito a una collaborazione tra le Università di Manchester, Durham e Brema con il Centro oceanografico britannico NOC è emerso che l’isola di plastica italiana si trova al largo dell’Arcipelago Toscano e ha coordinate precise, sebbene non sia un agglomerato immobile. La concentrazione dei rifiuti di plastica è maggiore, e ciclica, fra l’isola d’Elba e quella francese della Corsica. I rifiuti sono visibili a galla ma si concentrano soprattutto sui fondali. La sua formazione si deve a cumuli di bottiglie, flaconi, sacchetti, cannucce, contenitori per alimenti, posate, bicchieri monouso, polistirolo e oggetti per la pesca, tutti dispersi dalla mano colpevole dell’uomo sulla superficie del mare.
Questa area prende le sembianze di una vera e propria discarica a cielo aperto. Si estende per alcune decine di chilometri e tende a espandersi in maniera costante ed esponenziale. L’alta temperatura delle acque contribuisce alla formazione di micro frammenti che si accumulano nei fondali, persistendo nel tempo. Il report datato 2020, intitolato The Mediterranean: Mare Plasticum, e firmato dall’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN) ha evidenziato la presenza di oltre un milione di tonnellate di plastica nel Mediterraneo. Il 94% di questa è costituita da macroplastiche. Il restante 6% da microplastiche.
Le isole di plastica nel mondo
Alla formazione delle isole di plastica non contribuiscono soltanto i rifiuti di plastica abbandonati nei mari e negli oceani. Vi si aggiungono quelli provenienti dalla terraferma, che incidono fino all’ 80%, e quelli frutto di incidenti o transito di navi mercantili. Sono sei le isole più rilevanti per concentrazione di plastica per chilometro quadrato.
La più celebre è denominata Great Pacific Garbage Patch o Pacific Trash Vortex. A scoprirla, nel 1997, fu il velista Charles Moore, durante una gara in barca tra le Hawaii e la California. La sua esistenza, a quel che si stima, risale agli anni ’80. Si trova nell’Oceano Pacifico, tra la California e l’Arcipelago delle Hawaii appunto, ed è la più grande isola di spazzatura del mondo. Si compone di una quantità di rifiuti che raggiunge le 100 milioni di tonnellate. La South Pacific Garbage Patch, al largo delle coste del Cile e del Perù, presenta una superficie di circa 2,6 milioni di chilometri quadrati. Per quantificare, parliamo di un’ampiezza pari a circa 8 volte la dimensione dell’Italia.
La North Atlantic Garbage Patch, nota dal 1972, conta ben 200.000 detriti per kmq. La South Atlantic Garbage Patch, collocata tra l’America del Sud e l’Africa meridionale, copre un’area di oltre 1 milione di kmq. L’Indian Ocean Garbage Patch, di scoperta più recente (2010) si estende per oltre 2 chilometri. Presenta una densità di 10.000 detriti per chilometro quadrato. Infine, l’Artic Garbage Patch, collocata nel mare di Barents, è di minore dimensione e la sua formazione si deve a rifiuti provenienti dall’Europa e dalle coste del Nord America. Ogni oceano, dunque, ospita almeno un’isola di plastica di vastità consistente.
L’isola di plastica italiana spaventa l’Unione Europea
L’UE si è detta piuttosto preoccupata dall’esistenza dell’isola di plastica al largo della Toscana. Numerosi studi recenti sull’inquinamento da plastica negli oceani hanno confermato la crescita, tutt’altro che trascurabile, di rischi ecologici legati all’esistenza di queste discariche galleggianti. Sulla questione, il WWF è stato piuttosto chiaro:
“La via d’uscita dalla crisi della plastica è una. I Paesi devono accettare e firmare un trattato, legalmente vincolante a livello globale, che affronti tutte le fasi del ciclo di vita del polimero. Il documento ci metterà sulla strada giusta per porre fine all’inquinamento marino da plastica, anche entro il 2030, se agiamo subito.”
Ha affermato il vice capo della squadra del WWF che si occupa di oceani, Ghislaine Llewellyn.
“La soglia massima tollerabile di inquinamento da microplastica (stabilita a 120mila oggetti per metro cubo) è stata già superata in diversi hot spots. Essi sono localizzati in Cina orientale, Mar Giallo e in prossimità ghiaccio marino artico. Anche il Mar Mediterraneo raggiunge un triste primato: nelle sue acque si trova la più alta concentrazione di microplastiche mai misurata nei fondali marini: 1,9 milioni di frammenti per metro quadrato.”
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