Ondate di calore più lunghe e frequenti, maggiore diffusione di virus tropicali, reti elettriche messe a dura prova dai consumi per il condizionamento: un’analisi del World Resources Institute ci proietta in un futuro urbano distopico con città sempre più calde contro il quale non stiamo facendo abbastanza
Abbiamo quasi la certezza – perché ce lo dice il Copernicus Climate Change Service – che il 2024 sarà l’anno più caldo da quando si misurano le temperature sulla Terra. E il primo sopra 1,5°C rispetto all’era preindustriale. Avrete già sentito questo 1,5 gradi: è la soglia di sicurezza che secondo gli scienziato non dovremmo superare per non imboccare una strada senza ritorno che renderà il nostro un pianeta sempre meno ospitale e sempre più ostile per gli esseri umani. Ma cosa vuol dire “ostile”? Cosa vuol dire un grado e mezzo e più di temperatura rispetto a quelle misurate nell’800? E soprattutto cosa vuol dire tutto questo se si vive in città? Domande pertinente visto che, come spiega l’ONU, oggi, circa il 55 per cento della popolazione mondiale vive in aree urbane, e le previsioni stimano che si raggungerà quasi il 70 per cento entro il 2050.
L’analisi del World Resources Institute
Ad aiutarci a rendere più concreto lo scenario delle città su un pianeta a +1,5 gradi è un’analisi del World Resources Institute (WRI, una tra le più accreditate organizzazioni mondiali che fa ricerca su clima e ambiente) che ci dice, come prevedibile, che le città potrebbero sperimentare ondate di calore più frequenti e prolungate, una domanda energetica in forte aumento per il raffreddamento e una maggiore diffusione di malattie trasmesse da insetti. Ma sono i dati che giustificano quel “frequenti e prolungate” o quel “in forte aumento” a doverci mettere – noi cittadini e i decisori pubblici – in modalità allarme rosso.
L’analisi del WRI applica modelli climatici globali ridimensionati a scala urbana per stimare i rischi su 996 delle più grandi città del mondo, che ospitano 2,1 miliardi di persone. “Questi dati dovrebbero servire da campanello d’allarme per tutti i leader delle città e dei governi nazionali: è il momento di iniziare a preparare le città per un mondo molto più caldo, facendo al contempo tutto il possibile per ridurre le emissioni”, avverte Rogier van den Berg, direttore globale del WRI Ross Center for Sustainable Cities.
Città più calde di 1,5 o di 3°C?
Intanto una prima certezza. “La differenza tra 1,5 e 3 gradi centigradi ha conseguenze di vita o di morte per miliardi di persone in tutto il mondo”, chiarisce ancor Rogier van den Berg. Una seconda certezza è che la crisi climatica non è egualitaria, non colpisce tutti (persone, paesi), allo stesso modo. “Il cambiamento climatico ha impatti profondamente diseguali sia tra le città che al loro interno – sottolinea infatti Anjali Mahendra, direttore della ricerca globale del WRI Ross Center – Le città dei Paesi a basso reddito sono spesso più colpite e hanno meno risorse per farvi fronte, il che significa che dobbiamo aumentare drasticamente i finanziamenti per l’adattamento e trovare il modo di indirizzarli alle città e alle comunità più colpite. Anche all’interno di una città dotata di buone risorse, le popolazioni più vulnerabili saranno colpite in modo sproporzionato”.
Ondate di calore
Uno degli aspetti critici della declinazione urbana del surriscaldamento globale sono le ondate di calore: periodi prolungati di temperature eccezionalmente elevate, di cui anche in Italia abbiamo iniziato a fare esperienza. Ma nelle città a +1,5/+3 gradi sarà tutta un’altra storia.
Secondo le stime del WRI, in un mondo a +1,5 gradi, “l’ondata di calore più lunga ogni anno potrebbe durare in media 16,3 giorni, con il 3% delle città più grandi del mondo che sperimentano ondate di calore della durata di un mese o più all’anno”. Se invece facciamo un balzo in quel futuro distopico in cui i termometri saranno a +3°, “la durata media dell’ondata di calore più lunga potrebbe balzare a 24,5 giorni, con oltre il 16% delle città – che oggi ospitano 302 milioni di persone – esposte ad almeno un’ondata di calore della durata di un mese o più all’anno”.
In quel mondo, i periodi di caldo torrido saranno non solo più lunghi, ma anche più frequenti. Una città media potrebbe subire 5 ondate di calore all’anno nello scenario ottimistico di 1,5 gradi, più di 6 nello scenario pessimistico, “con un numero crescente di città che dovranno affrontare ondate di calore a due cifre”.
Consumi energetici alle stelle
Tutto questo caldo vorrà dire – per i fortunati che se lo potranno permettere – più condizionatori accessi per più tempo. E quindi più energia consumata. Anche in questo caso gli scenari del WRI sono – paradossalmente – da brividi. Con 1,5 gradi C, “circa 8,7 milioni di persone in una manciata di città potrebbero subire un aumento del 100% della domanda di raffreddamento” (rispetto alle medie del periodo 1995-2014). Con 3 gradi Celsius in più rispetto all’era preindustriale, poi, il numero di persone che potrebbe veder raddoppiare la domanda di raffreddamento sale a 194 milioni (grosso modo gli abitanti di Francia, Germania e Polonia). Un aumento che avrà conseguenze non solo sui consumi e sulle bollette, ma anche sulla disponibilità di energia e sulla tenuta della rete di distribuzione: il WRI parla di “enormi implicazioni per le infrastrutture e l’accesso all’energia”.
Città più calde, più malattie
La cronaca nazionale ci racconta già di malattie sconosciute in Italia, o quasi, fino a pochi anni fa, come dengue o chikungunya, la cui diffusione è legata a vettori – le zanzare – che gongolano quando i termometri vanno su. “In termini di diffusione delle malattie, le temperature più elevate creano ambienti più ottimali per le zanzare che trasportano arbovirus come dengue, Zika, Nilo occidentale, febbre gialla e chikungunya in nuovi luoghi”, evidenzia il WRI. Con un riscaldamento di 3 gradi, 11 delle città più grandi dal Brasile, ad esempio, potrebbero vedere un alto rischio di arbovirus per almeno sei mesi all’anno.
Se andare sopra il grado e mezzo di aumento potrebbe ridurre il numero di giorni di picco della malaria a livello globale – da 114 a 104 giorni nelle città, poiché le temperature sarebbero più alte di quelle ottimali per le zanzare che trasmettono la malaria – di contro, molte città delle regioni più temperate d’Europa e Nord America potrebbero vedere aumentare il rischio di diffusione del parassita che porta la malaria. “Questi risultati – avvertono i ricercatori e le ricercatrici del WRI – hanno conseguenze immense per la vita delle persone, per le economie delle città, per le infrastrutture e per i sistemi di sanità pubblica”.
Impatto diseguale
Lo abbiamo detto: l’emergenza climatica non si cura di essere giusta. Le città a basso reddito, in particolare quelle in Africa subsahariana, America Latina e Sud-Est asiatico, “sono più vulnerabili agli impatti climatici”, ricorda il WRI. Nel sud-est asiatico, le città indonesiane devono affrontare alcuni dei rischi più elevati dovuti all’aumento delle temperature e delle malattie. Tre delle quattro città al mondo con il maggior aumento stimato dei giorni di picco di arbovirus da 1,5 gradi C a 3 gradi C di riscaldamento si trovano in Indonesia:
Yogyakarta (aumento di 273 giorni), Jember (aumento di 151 giorni) e Padang (aumento di 148 giorni). E anche all’interno di una città con buone risorse per gestire il clima che cambia, “le popolazioni più vulnerabili saranno colpite in modo sproporzionato”. Per proteggere le popolazioni urbane più a rischio, allora, avverte il World Resources Institute, “è essenziale che le città e i governi nazionali investano in infrastrutture resilienti e strategie di adattamento climatico. Ciò include migliorare i sistemi sanitari, sviluppare infrastrutture energetiche sostenibili e implementare misure per ridurre l’esposizione ai rischi climatici”.