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Carbon pricing: cos’è e come si stabilisce

carbon pricing: stock di mercato
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Ricorrere al carbon pricing significa mettere un prezzo sul gas serra. Anidride carbonica (CO2), metano e similari sono nocivi per il nostro pianeta e coloro che lo abitano. Per tal motivo, tassare le aziende più impattanti, le quali ne liberano molto attraverso la loro produzione, inquinando l’ambiente e alimentando il cambiamento climatico, potrebbe essere un valido modo di far assumere loro le proprie responsabilità. Il ragionamento che sta alla base di questa misura è principalmente economico. Si chiama esternalità negativa. 

Produrre merce inquinante genera costi per l’ambiente e la società. Questi sono presi in carico dalla collettività. È infatti ogni singolo cittadino che deve affrontare danni alla salute e costi per sostenere le cure. Per fare in modo che le aziende – e non la società – paghino i danni che causano principalmente loro stesse, si è pensato alla possibile soluzione della tassazione di ogni produzione inquinante.

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Carbon tax e carbon pricing

Sono già svariati i Paesi che hanno introdotto la tassa sulle emissioni delle aziende, basandosi sul ragionamento chi inquina paghi. Portogallo, Colombia, Argentina, Cile, Giappone, Sud Africa, Messico e così via. Tanto chi possa fregiarsi di un sistema economico avanzato, quanto chi sia ancora considerato in via di sviluppo, può introdurre la carbon tax, imposta stabilita secondo la logica del carbon pricing, senza grossi problemi. Si tratta di una tassa implementabile da uno Stato, un municipio o qualsiasi altro ente governativo, allo scopo di incentivare la riduzione delle emissioni.

Se una realtà produttiva viene costretta a pagare per la quantità di CO2 emessa, sarà infatti probabilmente spinta a liberare meno anidride carbonica nell’atmosfera. Generalmente, è interesse di tutti risparmiare.

Chi ha introdotto il concetto di carbon tax, legandola al carbon pricing, è partito dal concetto di elasticità del consumo e della produzione. Volendo tradurre dal linguaggio economico, potremmo semplificare così: se metto una tassa sulle emissioni, le aziende continuano a inquinare, accettando di più o meno buon grado l’imposta, o cambiano comportamento? Qualora non modificassero le proprie abitudini, si tratterebbe di una via per aumentare i ricavi dello Stato (il cosiddetto gettito fiscale) ma non si soddisferebbe l’obiettivo finale: un’economia più sostenibile e meno inquinante. Naturalmente, vi sarebbero però più fondi per attuare altre misure che vadano nella direzione desiderata.

ETS: il mercato del carbonio

Carbon pricing ETS
Il mercato ETS permette di acquistare crediti di carbonio per regolare le emissioni

Se manca la certezza che colpire il portafogli porti risultato, come ci si deve muovere per riuscire nell’intento di ridurre le emissioni? Una possibilità è stabilire una quantità massima di emissioni accettabili. In quest’ottica, non si chiederà più danaro in maniera punitiva (per colpire il colpevole) bensì in modo costruttivo, impegnando l’ente o persona a pagare se prevede di inquinare, così che autoregoli le proprie emissioni. Questo sistema si definisce Emission Trading System (ETS), secondo un’espressione inglese traducibile con mercato del carbonio.


La differenza tra questo sistema e quello della carbon tax è che la tassa fissa il prezzo dell’emissione, obbligando chiunque inquini troppo, per così dire, a pagare un tot per tot emissioni. Non si fanno distinzioni. Con il mercato del carbonio, invece, è possibile fissare la quantità di emissioni totali che un Paese può produrre, durante un certo periodo di tempo. Il prezzo della quota in eccesso si definirà da solo, in base alle condizioni di mercato.

Supponiamo che il governo dica: quest’anno il nostro paese emetterà tot. Quel tot sono tonnellate di CO2, suddivise in 100 crediti di emissione. Tali crediti vengono distribuiti alle aziende presenti sul mercato del carbonio attraverso un’asta. Esse rappresentano la quantità massima di emissioni che ogni azienda può permettersi. Ogni realtà avrà dunque dieci crediti d’emissione e il divieto di inquinare oltre. Si crea così un classico mercato, il cui prodotto sono le emissioni.

Questo strumento assicura una maggiore flessibilità: se un’industria emette più di quanto le consentirebbero i suoi crediti, dovrà acquistarne altri, da chi abbia emesso meno. Altrimenti pagherà una multa molto cara, considerevolmente più elevata rispetto a quella contemplata da una carbon tax standard.

Il carbon pricing sul mercato ETS

La partecipazione al mercato ETS non è opzionale. Ogni azienda particolarmente inquinante è costretta a prendere parte alla compravendita dei crediti. Questi ultimi avranno dunque un prezzo che riflette le preferenze del mercato in quel dato momento. L’esborso sarà dovuto allo stato dell’economia e a tutta una serie di altri fattori. Qualora ci si trovi in un momento di crescita, magari veloce e generalizzata, la produzione aumenterà e, di conseguenza, faranno lo stesso le emissioni. In questo caso, il prezzo dei crediti si alzerà a causa della maggiore domanda. Per assicurare un passaggio graduale verso un’economia sostenibile, è bene che il loro costo non sia troppo alto, né troppo basso.

Un sistema come l’ETS è piuttosto complesso da implementare e gestire. Non a caso, generalmente, i Paesi che lo introducono sono economie avanzate. Lo hanno scelto l’Unione Europea e l’Australia. Tuttavia, anche realtà come la Cina, la Colombia e il Cile, ancora considerate in via di sviluppo, stanno valutando l’introduzione del sistema ETS per combattere, con nuove armi, la battaglia contro il cambiamento climatico.

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Mattia Mezzetti

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