L’idea dei pannelli CloudFisher arriva dallo studio delle esigenze idriche del Marocco. Si tratta di elementi che producono acqua a partire dalla nebbia e stanno riscontrando un successo clamoroso nelle lande desertiche dell’Africa settentrionale. Si tratta di collettori speciali, altamente tecnologici, che intrappolando la nebbia riescono a ricavarne acqua. Lentamente, la soluzione spingerà gli aridi quadranti di queste zone a (ri)acquisire flora e, di conseguenza, fauna, contribuendo a ridurre la desertificazione dell’area.
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Da utopia a possibilità
A qualcuno potrebbe sembrare follia l’idea di ricavare acqua a partire dalla nebbia ma, a quanto sembra, può invece funzionare. L’ingegno marocchino ha portato gli abitanti delle zone desertiche del paese a rimboccarsi le maniche e far fronte alla piaga della siccità più intollerabile. La monarchia nordafricana, in fin dei conti, è tra i Paesi a maggior rischio ambientale. Il suo territorio è destinato a farsi sempre più vulnerabile, man mano che il global warming avanza, magari indisturbato, come sta avvenendo in questo preciso momento.
Nel 2017, la ONG Water Foundation ha commissionato ad Aqualonis GmbH, startup tedesca detentrice di un brevetto per il montaggio del sistema CloudFisher, la realizzazione di un ampio parco con collettori di nebbia, preposti a filtrare e ricavare acqua destinata al consumo locale. L’organizzazione non governativa si occupa di combattere la crisi idrica a livello mondiale ed è attiva specialmente nelle aree più a rischio. Sul monte Bout Mezguida sono stati installati 30 collettori CloudFisher, a coprire un’area di circa 1682 metri quadrati. Ci troviamo sulle montagne dell’Atlante pre-sahariano, una posizione strategica per questa realizzazione, dal momento che qui, molto spesso, si formano banchi di nebbia.
Il sistema idrico collegato a CloudFisher
Dalla cima del monte, attraverso una rete idrica montata ad hoc, l’acqua potabile ricavata dai banchi di nebbia può arrivare comodamente nelle abitazioni di 16 villaggi non distanti e a una scuola. In questa maniera non si fornisce soltanto acqua da bere ai residenti, ma li si spinge anche a dedicarsi all’agricoltura, in una zona dove, altrimenti, difficilmente si inseguirebbe una carriera in questo settore, dato il clima tutt’altro che idoneo. 1600 abitanti che risiedono a valle del Mezguida sono così in grado di disporre di una comoda fornitura idrica, difficilmente da quanto avvenga per la maggior parte della popolazione africana, spesso costratta a percorrere chilometri per giungere al pozzo d’acqua più vicino.
Le possibilità di replicare il sistema nel nostro Paese
L’utilizzo di collettori come quelli installati in Marocco potrebbe rivelarsi un aiuto prezioso anche in altre zone del mondo. Pensiamo per esempio al nostro Paese. I periodi di siccità sono sempre più frequenti, specie in alcune zone più a rischio, e avere una soluzione che possa combatterli o, almeno, fornire un mezzo per soffrirli meno, ci darebbe un aiuto concreto. Qualche anno fa fu effettivamente presentato un progetto di questo genere, molto simile a quanto è stato realizzato in Marocco. Si prevedeva di sfruttare la nebbia che caratterizza la Valle del Po allo scopo di ricavarne acqua potabile.
Quella idea, subito accatastata sebbene mai depennata, prendeva il nome di Water for Life. A lanciarla erano stati docenti e studenti dei Politecnici di Torino e Milano. Uno studente magistrale di Architettura Sostenibile aveva redatto una tesi di laurea dedicata al progetto. Il piano preso in considerazione prevedeva di intrappolare gli ammassi nebbiosi attraverso delle reti in tessuto, al fine di usare poi quell’acqua in campo agricolo. Non se n’è fatto nulla ma, data la situazione drammatica in cui ci ritroviamo ogni primavera, sarebbe probabilmente il caso di considerare investimenti in innovazioni come l’acchiappa-nebbia CloudFisher.
CloudFisher può rubare acqua dalle nuvole e dai banchi di nebbia
Il funzionamento di CloudFisher è piuttosto complicato nella pratica, ma tutt’altro che difficile da spiegare nella teoria. Una serie di alti pali d’acciaio sorregge una rete in polimeri neri creati in laboratorio e capaci di trattenere gocce d’acqua talmente piccole che non cadranno mai al suolo sotto forma di pioggia. Il sistema assemblato in Marocco può raccogliere circa 63 litri d’acqua ogni 24 ore. In Occidente siamo abituati a consumarne 200 ciascuno, ogni giorno, ma l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha stimato che una comunità come quella della regione dell’Aït Baâmrane, che circonda il Mezguida, non necessiti di più di 70 litri giornalieri.
Chi sa quanto sua preziosa l’acqua dolce non la spreca certo come siamo abituati a fare dalle nostre parti. Il potenziale di CloudFisher è dunque tutt’altro che trascurabile: il sistema fornisce il 90% del fabbisogno idrico quotidiano a una comunità di 1.500 persone e 5.000 animali residenti in una zona poco ospitale del pianeta. I 600 metri quadrati di polipropilene, che intrappolano le micro-goccioline di acqua, sono forse l’unico mezzo che evita il completo spopolamento di questa zona rurale e caratteristica di un modo di vivere dimenticato dalle nostre parti, legato alla propria terra e all’autonomia produttiva.
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