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Come riciclare la posidonia: dalle spiagge a risorsa per l’economia circolare

Una spiaggia di sabbia fine e bianca
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Della posidonia, una delle più importanti alghe presenti nei nostri ecosistemi marini, vi abbiamo già parlato in modo approfondito in questa occasione. Forse non tutti sanno che il vegetale può rivelarsi prezioso non soltanto per gli habitat marini e oceanici, ma anche per noi esseri umani. In questo articolo studieremo in modo particolare come è possibile riciclare la posidonia e contribuire così al benessere del nostro preziosissimo pianeta Terra.

Indice contenuti

Cos’è la posidonia

La posidonia è senza ombra di dubbio una delle alghe marine più diffuse e importanti a vario titolo: ecco come fare per riciclarla.
Un ammasso di alghe sulla riva

Partiamo innanzitutto dalle caratteristiche della pianta marina: la posidonia appartiene alla famiglia delle Posidoniaceae e si distingue per le sue foglie lunghe e strette, disposte in fasci, che si estendono lungo il fondale marino e sono ancorate al substrato tramite strutture chiamate rizomi.

È una pianta molto longeva, capace di vivere per secoli, con una crescita lenta di pochi centimetri all’anno. In alcuni casi, può formare grandi accumuli di rizomi morti e sedimenti sul fondale, noti come matte, che ricordano le barriere coralline. A differenza delle alghe, la Posidonia si riproduce producendo frutti e semi, i quali vengono trasportati dalle correnti marine. I suoi frutti galleggianti, che compaiono in primavera, sono comunemente conosciuti come “olive di mare“.

Negli ultimi anni si è cercato di sviluppare dei progetti per l’utilizzo alternativo della posidonia, in un’ottica molto green e sostenibile. Tra i più interessanti emerge soprattutto il Life Reusing Posidonia, di cui vi parleremo qui di seguito.

Life Reusing Posidonia

Sappiamo ormai molto bene che tutti i tradizionali materiali da costruzione (il cemento, i mattoni refrattari e gli isolanti derivati dal petrolio) generano importanti livelli di inquinamento e un importante quantitativo di emissioni di CO2 nell’atmosfera.

Il progetto Life Reusing Posidonia ha dunque optato per un approccio costruttivo più sostenibile e naturale, utilizzando la posidonia oceanica essiccata come isolante termico efficace ed economico per 14 abitazioni sociali destinate a persone in difficoltà sull’isola di Formentera, nelle Baleari. Questa tecnica tradizionale e rispettosa dell’ambiente ha permesso di ridurre le emissioni del 60%, di abbattere il consumo energetico del 75% e di diminuire l‘uso di acqua del 60%. Il metodo è replicabile in altre zone costiere dove cresce questa pianta marina, e ha generato 41 nuovi posti di lavoro per completare l’intervento.

I partner di questa lodevole iniziativa hanno realizzato 14 unità abitative prototipo per dimostrare la praticabilità di questo modello alternativo, che integra la valorizzazione del patrimonio locale, le tecniche architettoniche tradizionali e le esigenze della lotta al cambiamento climatico.

I materiali usati per il progetto

Per portare a termine la costruzione di questi edifici green i partner del progetto hanno utilizzato:

  • materiali di scarto riutilizzabili (ad esempio posidonia essiccata, paglia, legno recuperato);
  • prodotti ecologici locali (come arenaria “marès”, argilla, lastre e mattoni cotti in forni a biomassa);
  • materiali ecologici provenienti da altre zone (come legno lamellare, calce idraulica, pittura al silicato);
  • materiali riciclati o ottimizzati (come blocchi di cemento Ytong e metalli riciclati all’85%).

La posidonia compatta, nello specifico, è stata utilizzata in formato pellet all’interno di un tetto, come isolante. Per il resto, queste strutture presentavano delle pareti con 25 cm di blocchi Ytong, pavimenti realizzati con calce idraulica naturale, un isolamento acustico ottenuto con sughero naturale e pannelli di cotone riciclato, e finestre a basso emissivo in legno.

Il bello è che case simili presentano un vantaggio dopo: da un lato mantengono un piacevole comfort termico, dall’altro riescono a limitare al massimo i consumi energetici legati a riscaldamento o raffreddamento degli ambienti contribuendo così al risparmio in bolletta.

Gli interventi in Italia

La posidonia di mare è un'alga che può essere riciclata per molti usi sostenibili: scopriamo insieme quali, in dettaglio.
Alghe di colore giallo sugli scogli

Di norma, tutto ciò che viene recuperato sulle spiagge, compresi i rifiuti e i resti vegetali come la posidonia presente in riva, viene raccolto insieme e poi trasportato in discarica. C’è però chi, nel nostro Paese, si è impegnato per applicare un approccio nuovo e molto più funzionale a questa attività. Grazie al progetto GE.RI.N dell’ENEA (Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile) è infatti stato possibile utilizzare i residui vegetali marini per produrre delle stuoie biodegradabili al 100%. Questi prodotti vantano una struttura a “materasso”, composta da sacche realizzate in fibre naturali (come cocco, juta, canapa, ecc.), che viene riempita con la posidonia raccolta sulle spiagge, impiegando tra l’altro forza lavoro locale per il processo.

Questi particolari tappetini sono leggeri e facili da trasportare, e ideali anche per creare percorsi, sentieri e coperture naturali su superfici rocciose: quest’ultima caratteristica è di non poco conto, visto che può rivelarsi preziosa per contrastare l’erosione costiera in atto. Si tratta inoltre di una soluzione ottimale anche per i visitatori del litorale, aumentando così la ricettività balneare dei lidi che ne fanno uso.

Grazie anche al contributo dell’Area Marina Protetta delle Isole Egadi le bio-stuoie riempite di posidonia sono state posizionate a una profondità di 10 metri al largo di Cala Azzurra, sull’isola di Favignana, in un’area dove la prateria di Posidonia è gravemente danneggiata. Per ancorarle sono stati utilizzati blocchi di calcarenite, un materiale compatibile con la sabbia del fondale locale. Su queste stuoie sono stati reimpiantati alcuni fasci di piante raccolti sul posto per favorire la “ricolonizzazione” del fondale.

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Alberto Muraro

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