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Data center a zero emissioni: come ridurre l’impatto ambientale del digitale

Lavoro al computer
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Nella vita di tutti i giorni ci sono molte cose che diamo per scontate: tra queste il funzionamento di internet, che esiste anche grazie alla presenza di grandi data center sparsi per tutto il mondo. Tutto ciò che ha a che fare con il mondo digitale, infatti, è tutt’altro che immateriale, contrariamente a quello che si potrebbe pensare. E le Big Tech hanno sempre cercato di nascondere al pubblico mainstream una verità conosciuta da un numero limitato di persone: anche l’universo cloud e web hanno un importante impatto ambientale da non sottovalutare. Proprio da questi principi è emersa negli ultimi anni la necessità di costruire dei data center a 0 emissioni: vediamo dunque insieme cosa sono e quali sono le prospettive future del settore.

Indice contenuti

Cosa sono i data center

Un paio di occhiali davanti a uno schermo
Scopriamo insieme tutto quello che è necessario sapere sui data center e sull’impatto ambientale di ciò che oggi ci permette di stare su internet.

Con questo termine stiamo facendo riferimento ad una struttura fisica che le organizzazioni e le aziende utilizzano per ospitare le loro applicazioni, hardware e dati sensibili. Il design di un data center si basa su una rete di risorse di calcolo e archiviazione che consente la distribuzione condivisa di applicazioni e dati. I componenti chiave del design di un data center includono router, switch, firewall, sistemi di archiviazione, server e controller di distribuzione delle applicazioni.

I tipi di data center

Esistono svariati tipi di strutture simili, presenti anche sul territorio nazionale. Per esempio:

  1. I data center aziendali: in questo caso l’infrastruttura IT è gestita internamente. Le aziende mantengono il controllo totale su sicurezza e conformità normativa, come GDPR o HIPAA. La loro gestione è a carico dell’azienda;
  2. I data center su cloud pubblico e hyperscale: sono forniti da grandi provider come AWS, Google Cloud e Microsoft Azure e ospitano risorse condivise per molti utenti. I data center hyperscale sono enormi, con migliaia di server, mentre gli edge data center, più piccoli, servono essenzialmente per workload in tempo reale e vicini agli utenti;
  3. I data center gestiti e le strutture di colocation: in questo caso le aziende noleggiano infrastrutture IT o spazi fisici in centri esterni. I data center gestiti offrono server e gestione IT, mentre nelle colocation l’infrastruttura è dell’azienda, ma ospitata altrove. Queste soluzioni sono usate anche per backup e disaster recovery e sono dunque utilissime per risolvere situazioni critiche e inaspettate.

I consumi dei data center

Veniamo ai numeri. Stando ai dati dell’Agenzia Internazionale per l’Energia, i data center rappresentano circa l’1% del consumo elettrico globale, e contribuiscono allo 0,3% delle emissioni di anidride carbonica nell’atmosfera, causa com’è noto del riscaldamento globale in atto. E attenzione perché, considerata la crescente domanda di servizi basati sull’Intelligenza Artificiale, questi livelli potrebbero essere destinati ad aumentare ulteriormente in futuro.

I data center generano inoltre come sottoprodotto del loro funzionamento una certa quantità calore che se non viene adeguatamente gestita potrebbe compromettere l’efficienza della nostra infrastruttura digitale. Per mantenere operativi questi sistemi, è dunque necessario un raffreddamento costante, che richiede ingenti risorse energetiche. A proposito, vale la pena ricordare che il raffreddamento dei data center rappresenta oltre il 40% del loro consumo energetico.

Data center a 0 emissioni: esempi italiani

I data center a 0 emissioni sono importanti perché queste strutture di norma generano un importante impatto climatico che andrebbe limitato. Qui i dettagli.
Dati visualizzati su un laptop

Alla luce del loro impatto ambientale indubbio e anche grazie alla crescente consapevolezza ambientale a livello internazionale, anche alcune realtà italiane hanno iniziato a puntare sui dei data center a 0 emissioni.

Il primissimo data center in assoluto di questo tipo sul continente europeo è stato quello ideato da Gianni Capra e che è stato tra l’altro premiato da Legambiente nella cornice del Premio Economia Verde. Il suo progetto Exe.it Srl Sb, situato a Castel San Pietro Terme in provincia di Bologna, è basato sull’installazione di un impianto fotovoltaico, parte centrale di una visione ambiziosa che abbraccia ogni aspetto dell’edificio, dai materiali eco-sostenibili all’infrastruttura IT. Ma c’è di più: l’edificio offre un ambiente di lavoro piacevole ai suoi dipendenti, visto che include tra le altre cose una palestra, una taverna, orti per coltivare piante e anche una sala musica.

In Italia vantiamo anche un altro esempio di data center a 0 emissioni particolarmente virtuoso: si tratta di Trentino Data Mine, inserito all’interno della miniera di San Romedio, in provincia di Trento, un progetto che tra l’altro risolve un altro grosso problema e cruccio italiano, vale a dire l’occupazione del suolo. Intervistata dal Sole 24 Ore nel merito della questione, la docente Giovanna Sessa dell’Università di Genova (ed esperta di digitale e sostenibilità) ha dichiarato:

Tendiamo a dimenticarci del lato fisico di queste infrastrutture, ma uno dei loro impatti principali è sull’uso dello spazio. È per questo motivo che il design dei data center nuovi è fondamentale, in termini di hardware, ma anche di software, per ridurne le dimensioni.

Un data center a 0 emissioni che si rispetti, in definitiva, predilige lo sfruttamento di fonti di energia sostenibili come quella solare, eolica o quella legata alle biomasse. Inoltre, punta sull’efficienza energetica utilizzando sistemi di raffreddamento che sfruttano le condizioni climatiche locali e implementando sistemi per il recupero del calore prodotto dai server che viene poi utilizzato, per esempio, per il riscaldamento di edifici vicini. Design efficiente, materiali sostenibili e strumenti di monitoraggio avanzato sono solo alcuni degli altri elementi che non dovrebbero mai mancare in questo caso.

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Alberto Muraro

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