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Trasformare veleni in ossigeno, la promessa del phytocapping

phytocapping
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Una delle tecniche di fitodepurazione più promettenti per la messa in sicurezza di aree contaminate è il phytocapping, capace di sfruttare il potere fitodepurativo delle piante. Tecnica innovativa usata soprattutto per discariche e siti orfani, in alternativa agli interventi tradizionali

Uno dei protagonisti di Remtech Expo 2024, la fiera internazionale specializzata sui temi del risanamento, della rigenerazione e dello sviluppo sostenibile dei territori – che si è tenuta a Ferrara dal 18 al 20 settembre scorso – è stato il phytocapping, tecnica di messa in sicurezza di terreni inquinati basata sull’impiego di terreno e vegetazione in alternativa ai sistemi tradizionali, utili soprattutto nei sistemi di controllo idrologico per realizzare interventi di confinamento (fitocapping). Cioè, usare le piante per fargli fare quello che sanno fare meglio, assorbinre le sostanze presenti nei terreni, anche quelle inquinanti, per trasformarle in ossigeno.

I pregi delle fitotecnologie

In generale, le fitotecnologie possono essere inquadrate tra i sistemi biologici di bonifica e sfruttano la capacità di alcune piante di interagire con contaminanti organici e inorganici presenti nel terreno, nei sedimenti e nelle acque.

A spiegarne i pregi nella cornice di Remtech è stato compito di Paolo de Angelis dell’Università della Tuscia, dimostrando come questa tecnica sia particolarmente efficiente per controllare la percolazione, sfruttando tre meccanismi principali: l’intercettazione della pioggia ad opera delle chiome delle piante, l’immagazzinamento di umidità nel suolo e l’evapotraspirazione. Con i benefici di offrire una stabilità nel tempo, protezione dall’erosione, aumento della biodiversità, miglioramento del paesaggio, carbon sequestration. Questa tecnica si applica principalmente nei siti con presenza di vecchie discariche (ante DPR n.915/82), dove non risulta sostenibile la rimozione o la messa in sicurezza permanente tradizionale e dove vi è disponibilità di acqua per l’irrigazione.

La tecnica del phytocapping

In particolare, ha spiegato De Angelis, “un’accurata scelta del suolo di copertura, combinata con la formazione di uno strato di riserva idrica e di discontinuità idraulica, consente di conservare e rendere disponibile l’acqua necessaria alla vegetazione, anche nei periodi più asciutti. L’integrazione di drenaggi e impianti di irrigazione sub superficiale può consentire l’uso di questa tecnica anche in ambienti con forte escursione idrica stagionale”.

Gli interventi di phytocapping consentono anche di garantire una sorta di scalarità, nel senso che “all’aumentare della complessità strutturale di un sistema vegetale – ha precisata De Angelis –, i fattori che controllano il flusso evapotraspirativo divengono anch’essi più complessi a causa delle interazioni con il microclima e con le risorse idriche e nutrizionali. La realizzazione di strutture pluri-specifiche, in equilibrio con le risorse disponibili e/o supportate da una gestione attiva, consente di creare coperture permanenti ad elevata resistenza e resilienza agli stress ambientali”.

I benefici ambientali

A ogni modo, la messa a dimora di coperture arboree genera di per sé dei benefici significativi sugli ecosistemi e sulla biodiversità, aiutando i contesti compromessi a ritrovare col passare del tempo una forma di equilibrio, naturalmente dopo che siano stati rimossi eventuali sostanza/materiali particolarmente pericolosi.

Per esempio, ha proposto De Angelis, “le coperture vegetali realizzate come coperture di vecchie discariche possono entrare a far parte della network di infrastrutture verdi di aree urbanizzate, restituendo funzionalità ecologiche ad aree precedentemente critiche e disfunzionali”.

Qualche esempio in Italia e all’estero

Esempi in tal senso si registrano in giro per il mondo, come negli Usa, nella miniera di Barrick Goldstrike (nel Nevada), e nel nostro paese, dove finora è stata sperimentata soprattutto in Umbria, sia nel Sito di interesse nazionale (SIN) di Terni-Papigno che nell’ex discarica di Pozzo Secco, nella zona di Foligno (Pg).

Nel primo caso, sicuramente il più importante, il progetto ha sostituito il telo in HDPE con un phytocapping costituito da una short rotation di pioppo. Gli obiettivi di questo intervento – come precisato da Arpa Umbria – sono isolare i rifiuti profondi dalla percolazione delle acque meteoriche e a creare un sub-strato organico con elevate capacità di trattenere l’umidità. Il progetto prevede di ottimizzare la gestione della short rotation per produrre biomassa da impiegare in una caldaia a servizio degli spogliatoi degli impianti sportivi presenti nel sito.

Restando in Italia, un progetto di bonifica e messa in sicurezza su ampia scala, finanziato dal ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica (MASE), anche con il ricorso al phytocapping ha riguardato lo stabilimento ex-Caffaro di Torviscosa, in provincia di Udine, altro SIN. Uno dei casi più eclatanti e compromessi di inquinamento dovuto ad attività industriali (chimiche) particolarmente pericolose. Qui le indagini anno riscontrato, su un’area di oltre 201 ettari, inquinanti sia nel suolo/sottosuolo, che nelle falde acquifere.

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