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Qual è il vero impatto ambientale delle piste da sci?

Sciatori che scendono da una montagna
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Chiunque abbia un parente o un amico sciatore sa perfettamente quanto questo sport sia molto di più di una semplice attività fisica e come rappresenti per molti una vera e propria passione nonché un appuntamento a dir poco immancabile nel momento in cui le temperature iniziano a scendere. Purtroppo però l’ampliarsi dell’industria turistica in alta quota ha certamente avuto delle conseguenze da un punto di vista ambientale di cui tutti, appassionati e non, dovremmo essere consapevoli. Vediamo dunque nel dettaglio qual è attualmente il reale impatto ambientale delle piste da sci e di tutto il comparto legato agli sport sulla neve.

Indice

L’industria dello sci in Italia

Ecco perché il proliferare degli impianti di risalita sciistici è molto controverso da un punto di vista ambientale.
Uno sciatore sulle piste

In Italia, soprattutto sulle vette delle Alpi, il turismo sulla neve è davvero molto fiorente: le bellezze del nostro territorio portano ogni anno centinaia di migliaia di sportivi in zona, sulle splendide piste innevate di località molto celebri tra cui spiccano Cortina, Courmayeur o ancora l’Alta Badia. Non è un caso se proprio di recente il Ministro del Turismo Daniela Santanché abbia deciso di stanziare ben 200 milioni di euro per l’ammodernamento, la sicurezza e la dismissione degli impianti di risalita e di innevamento artificiale, dichiarando che in questo modo il Governo sostiene “un asset portante del turismo italiano, favorendo l’attrattività turistica delle nostre montagne”.

Solo nel nostro Paese, d’altra parte, il giro d’affari complessivo generato da tutta la filiera dello sci corrisponde a circa 7 miliardi di euro.

I danni reali degli impianti sciistici

Al di là dell’impatto visivo su panorami mozzafiato delle nostre montagne ci sono molte altre variabili in gioco. Se infatti consideriamo l’occupazione di territorio demaniale complessiva di un impianto di risalita, comprensivo ovviamente anche delle piste da sci adibite per la discesa, stiamo parlando ad oggi di una copertura del 70% (se non di più) del nostro intero arco alpino. Ma c’è di più. Spesso e volentieri, infatti, sciatori esperti decidono di avventurarsi anche oltre ai confini classici stabiliti dai proprietari di seggiovie e skilift, tentando il cosiddetto fuoripista. Quanto detto fino a questo punto evidenzia dunque un dettaglio di non poco conto, vale a dire il fatto che la presenza umana causa necessariamente una diminuzione delle aree a completa disposizione della flora e fauna, con danni facilmente intuibili sull’intero ecosistema d’alta quota.

Spesso si pensa (magari anche un po’ in malafede) che la natura sia in realtà capace di curare sé stessa, ma non è esattamente così. Seppure le piante tagliate possono ricrescere, è altrettanto vero che per la costruzione degli impianti è sovente necessario abbattere delle grandi piante secolari dal valore naturalistico inestimabile. Inoltre, tagliando gli alberi e creando corridoi artificiali si andranno a modificare in maniera irreversibile alcune particolari condizioni microclimatiche fondamentali per la crescita dei vegetali e anche per la vita animale. C’è inoltre un altro elemento da prendere in considerazione, vale a dire il fatto che non necessariamente le aree interessate potranno poi rivelarsi idonee al pascolo degli animali, alla luce degli importanti fenomeni erosivi che la costruzione delle piste ha comportato.

Il tema dell’inquinamento

A rendere ancora più problematica la costruzione forzata di impianti sciistici (al solo scopo di massimizzare i guadagni di un gruppo dopo tutto ristretto di imprenditori) c’è la questione dell’inquinamento, compreso quello acustico.

Pensiamo ad esempio ai forti rumori generati dai cannoni sparaneve, presenti lungo tutta la pista, che sono in grado di disturbare la fauna selvatica e dunque il naturale equilibro di vita degli animali nelle zone limitrofe (come cervi, volatili, lupi, orsi eccetera). Non è un caso, a proposito, se uccelli come le pernici hanno iniziato a scomparire nelle zone dove a partire dagli anni ’90 il fenomeno del turismo sulla neve è andato via via ampliandosi. Una moda piuttosto recente è inoltre l’organizzazione di party sui punti di ritrovo all’arrivo e alla partenza degli sciatori, con musica a volume altissimo sparata dagli amplificatori di baite trasformate in luna park.

Il consumo di risorse energetiche

Ecco tutto quello che è necessario sapere riguardo il reale impatto climatico generato dal comparto degli sport invernali.
Sci e snowboard in un impianto sciistico

Non dimentichiamo, infine, i problemi legati al consumo di risorse e di energia, non ultima l’acqua. Anche a causa dei cambiamenti climatici e dell’aumento delle temperature, infatti, per restare in piedi molti impianti a bassa quota si trovano spesso costretti a sparare neve artificiale. Secondo l’associazione ambientalista Mountain Wilderness, a proposito, si calcola che per ricoprire un ettaro di pista con neve artificiale per una stagione sciistica siano necessari circa 4 mila metri cubi d’acqua, mentre per un ettaro di campo di grano ne sono richiesti 1700. Una località sciistica con 50 chilometri di piste sfrutta circa 200.000 metri cubi di acqua all’anno per la produzione di neve artificiale e consuma 500 megawattora di energia elettrica per questa operazione, equivalente al consumo di energia di 250 famiglie.

Per il resto, Il dispendio di energia giornaliero per ogni appassionato di sci è stato calcolato tra 9 e 19 kilowattora per individuo, con una media di 12 kilowattora all’ora. Un sistema di trasporto sugli impianti sciistici utilizza tra 300 e 1300 kilowattora all’anno per metro di dislivello. Una stazione sciistica con 70 chilometri di piste, che vende 480.000 biglietti ogni stagione, consuma circa 5 gigawattora all’anno. Si tratta di cifre importanti, che dovrebbero portarci a serie riflessioni rispetto alla sostenibilità di attività simili, soprattutto a lungo termine.

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Alberto Muraro

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